di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Beppe Grillo è esploso ieri in un video in difesa di suo figlio e dei suoi amici, sui quali pende da due anni una gravissima accusa: stupro, di gruppo e reiterato, di una ragazza. Il fondatore e garante del M5s ha pensato così di poter parlare, in veste di padre, direttamente e con veemenza ai giudici e si è concesso, com’è sua abitudine, la libertà-facoltà di lanciare pesanti e discutibili invettive sia nei confronti della magistratura sia, ancora peggio, nei confronti di una ragazza, vittima ancorché presunta, dello stesso stupro del quale sono accusati suo figlio e i suoi amici, con vili argomentazioni che definire “maschiliste” sarebbe solo eufemistico. Lanciandosi anche in considerazioni infondate in punta di diritto, materia che, in altre circostanze e con altri “avversari”, presunti innocenti ma per lui sempre e comunque già colpevoli, ha maneggiato con più scaltrezza.
Un personaggio pubblico, e soprattutto un leader politico, resta sempre tale ed è proprio a causa o grazie a tale veste pubblica, fondatore e garante del M5s, dalla quale nessuno può spodestarlo, che Beppe Grillo ha commesso evidenti errori. Nel tentativo di trascinarci nei suoi panni di padre accorato, ferito e pronto al sacrificio («arrestate me»), ci ha spinto, senza volerlo, a metterci nei panni della ragazza, ulteriormente oltraggiata, e dei suoi «distrutti» genitori.
Nel caso giudiziario Ciro Grillo, che Beppe ha voluto assumere su di sé, siamo ancora nel campo dei “si presume”, il procedimento infatti è andato, fino a ieri, a rilento, sebbene vi siano video della serata incriminata e la testimonianza di un’amica della vittima. Un campo, quello della presunta innocenza, che Beppe Grillo non ha mai saputo e voluto praticare, né durante la sua fulgida carriera nel mondo dello spettacolo né quando la sua molto influente “carica” di comico si è imposta nel panorama politico. Un intreccio, quello tra spettacolo e politica, del quale nessuno gli ha mai veramente chiesto conto e dal quale mai si è sciolto, molto pericoloso come si può notare, ancora di più e ancora una volta, in questo disgustoso frangente. Non è dell’innocenza o della colpevolezza di un gruppo di ragazzi che vogliamo parlare, ma dell’uso discrezionale e dell’abuso della parola “giustizia” che si è fatto in Italia dalla “discesa in campo” di Beppe Grillo. Nonché dell’uso e dell’abuso di una “posizione dominante”, visto che il Movimento di Beppe Grillo fa parte della maggioranza di Governo, per difendere non sacrosanti principi, ma i propri sacrosanti congiunti. Difendendoli non “nel processo” ma “fuori dal processo”. Un lusso da Grillo e dai grillini mai concesso ai loro tanti, anche solo presunti, avversari.