Si impone la necessità di ragionare per obiettivi e non per il tempo dedicato

«Siamo alla vigilia di una trasformazione importante: riducendo l’orario di lavoro, specialmente per i lavori intellettuali, si aumenterà la produttività», ha detto il professor De Masi. «Occorrerà sempre meno lavoro umano, questo è il progresso. Produrre di più ma lavorando di meno, di conseguenza anche le competenze: più umanesimo, più creatività, meno tecnica e specializzazione tecnica – dove le competenze mutano troppo velocemente. Anche gli scienziati, nel prossimo futuro, dovranno essere scienziati umanisti». Sul passaggio dal lavoro fondato su base oraria a quello per obiettivi, De Masi ha ribadito che questa è la chiave per adattarsi alla trasformazione in atto. «Facciamo un esempio: la produzione di idee segue un criterio e tempistiche diverse rispetto a mansioni manuali come quelle di avvitare bulloni in fabbrica. Oggi siamo già immersi in una rivoluzione di paradigma del lavoro e della produzione, per cui non vince chi ripete di più, ma vince chi crea di più. Si guadagna molto di più con un’idea nuova che ripetendo mille volte idee vecchie. Serve valorizzare la parte creativa dell’uomo, non quella esecutiva», ha detto De Masi. «Tanti obiettivi mi hai raggiunto e tanto ti pago, non tante ore lavori”. Dopo questa considerazione, De Masi si è rivolto ai formatori e ai docenti universitari, facendo notare che proprio su questo tema si apre una prateria immensa per i formatori. Per il professore, infatti, questi non devono formare i lavoratori, ma devono concentrarsi sui capi reparto, sui capi del personale, che devono trasformare “il lavoro per flusso” in “lavoro per obiettivi”. «Bisogna preparare subito pacchetti formativi a riorganizzare subito il lavoro per obiettivi», ha consigliato De Masi. Infine, il Professor Sabatini ha ricordato l’opportunità offerta dallo smart-working di rivitalizzazione di alcuni territori che versavano in stato di abbandono. Preoccupa il divario che tenderà a polarizzarsi tra lavoratori “manuali” e lavoratori “intellettuali”.