Avanza prepotente lo spettro del salario minimo orario imposto per legge

Come se non bastasse la perdita di reddito causata dal fortissimo ricorso agli ammortizzatori sociali, nell’ordine di diverse centinaia di euro ogni mese per dipendente, i primi otto mesi dell’anno si stanno caratterizzando per il mancato rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, una piaga che investe ormai circa 14 milioni di lavoratori, l’80% del totale. I sindacati, dalla Cgil alla Ugl, attraverso le rispettive federazioni di categoria, quasi quotidianamente chiedono l’apertura dei tavoli di confronto, scontrandosi spesso, però, con il muro di gomma alzato dalla controparte datoriale, che ha mediamente assunto una posizione più attendista. Il governo, da parte sua, dopo aver promesso, ma non mantenuto, un intervento fiscale a sostegno della contrattazione collettiva, si è limitato a raddoppiare, per il solo 2020, la quota esentasse di beni e servizi erogabili direttamente dalle aziende ai propri dipendenti: la nuova soglia è stata fissata a 516,46 euro. Il problema, però, è l’esiguità dello stanziamento, appena 12,2 milioni di euro, utili a coprire circa 47mila posizioni. È sufficiente quindi che un paio di grandi aziende sottoscrivano un accordo collettivo e per tutte le altre non ci sono più risorse. Sullo sfondo, intanto, resta lo spettro del salario minimo orario per legge, tema particolarmente caro alla ministra del lavoro, Nunzia Catalfo, ma meno alle parti sociali.