di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Lo diciamo da tempo, da quando era presidente dell’Inps Tito Boeri, promotore del salario minimo legale, e anche quando erano al governo i “gialloblu” e il M5s insisteva su questo tema: il salario minimo per legge non ci convince affatto, specie, poi, con le modalità con le quali sta pensando di realizzarlo l’attuale esecutivo. I fautori di questa misura affermano che sarebbe uno strumento utile a tutelare di più chi lavora. Secondo noi, invece, potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang, destinato da un lato a esautorare il ruolo delle organizzazioni sindacali, dall’altro a innescare un circolo vizioso di livellamento verso il basso delle retribuzioni. In Italia i lavoratori poveri esistono e sono tanti. Sono soprattutto quelli che lavorano del tutto “in nero”, con paghe basse e nessuna tutela, o sono coloro che si trovano nelle varie zone grigie di irregolarità, come i contrattualizzati che però vengono pagati meno rispetto al loro contratto di riferimento, coloro che svolgono orari superiori rispetto a quelli effettivamente retribuiti, i sotto-inquadrati, i finti autonomi, collaboratori o soci che di fatto sono dipendenti. Per aiutare queste tipologie di lavoratori il fatto che un salario minimo sia stabilito dalla legge o dal contratto collettivo non ha nessuna rilevanza, si trovano in situazioni di sfruttamento per combattere le quali servirebbero controlli più diffusi e frequenti. Ci sono poi i “nuovi lavori” da categorizzare in modo più chiaro: il caso dei rider, ma, di nuovo il problema è altrove e sta nella definizione chiara del loro ruolo, ossia nel chiarire se siano o meno dei dipendenti e in caso affermativo adottare nei loro confronti i contratti che già ci sono. Anche perché se è vero che nel nostro Paese non esiste un salario minimo legale, è altrettanto vero che esiste la contrattazione collettiva, che, sulla base degli articoli 36 e 39 della Costituzione, si applica anche alle imprese e ai lavoratori non firmatari del Ccnl. Si tratta solo di applicare le regole che già ci sono. Ma oltre al problema dei controlli troppo carenti, per mancanza di un organico adeguato di Ispettori del Lavoro, c’è poi una questione di fondo dalla quale non si può scampare: la mancanza di offerta di lavoro. Il perdurante stato di crisi che attanaglia la nostra economia genera disoccupazione e quindi convince molte persone ad accettare condizioni di lavoro irregolari pur di avere un impiego. Bisogna affrontare, una volta per tutte, le cause alla base di questa situazione attraverso politiche di sviluppo, che si occupino di rivitalizzare un sistema economico poco attrattivo, come dimostrano gli oltre 150 tavoli di crisi aperti. Non certo tentare, attraverso interventi dall’alto, di imbrigliare e svilire il ruolo del sindacato.