di Barbara Faccenda

Il gioco energetico raramente ha degli eroi, ma certamente ha diversi malvagi.
Il progetto di gasdotto South Stream compare durante una serie di dispute sul gas naturale tra l’Ucraina e l’azienda controllata dallo stato russo, Gazprom, intorno alla metà del 2000. Le conseguenze di simili disaccordi sono state sia per la Russia che per l’Unione Europea un impulso per la ricerca di vie tali per cui si potesse diversificare dalle rotte dei gasdotti che passano attraverso l’Ucraina. Come risultato emergono due opzioni: il South Stream, una rotta che aggira l’Ucraina nel sud e il Nord Stream, una preesistente proposta che aggira l’Ucraina al nord, attraverso la Germania. Il Nord Stream, un progetto che nasce dalle relazioni bilaterali tra la Russia e la Germania, riesce a mettere in sicurezza il suo status come parte del Trans – European Network (TEN), esonerandolo assieme ai suoi progetti associati da diverse clausole del Third Energy Package, incluso i requisiti per garantire l’accesso a terze parti e spacchettare la proprietà dai rifornimenti, permettendo a Gazprom di riservare la capacità del gasdotto per se stessa cosa che altrimenti avrebbe dovuto vendere all’asta ad altre compagnie.
Il South Stream, dall’altra parte, non è stato così fortunato. Malgrado i tentativi della Russia di ottenere le stesse esenzioni per la rotta sud del gasdotto, l’Europa si rifiuta di garantire ad esso lo status di TEN. Il South Stream così si poneva direttamente in contrasto con i progetti di corridoi di gas del sud Europa, che avevano l’obiettivo di portare il gas naturale al vecchio continente dal Caspio e dal Medio Oriente. L’Europa concede lo status di TEN al primario competitore di South Stream: Nabucco e l’esenzione terza parte al Trans – Adriatic Pipeline, un altro competitore. South Stream non ha ricevuto niente: né TEN né esenzione terza parte. Malgrado questi iniziali ostacoli, la Russia sceglie di andare avanti con i segmenti del South Stream che risiedono nelle sue frontiere così da poter trasportare più gas naturale al Mar Nero.
L’inizio della fine del South Stream
Lo scoppio della crisi in Ucraina nel novembre 2013 segna l’inizio della fine del progetto South Stream. Le sanzioni imposte dalla Ue, a seguito dello schianto del volo della Malesia Airlines MH17 in Ucraina nel luglio del 2014, alle banche russe che stavano finanziando il South Stream, finiscono per limitare l’abilità di Gazprom di aumentare i capitali per la costruzione del progetto.
Nello stesso tempo, la Commissione Europea aveva iniziato formalmente ad investigare le pratiche monopoliste di Gazprom e minacciava di intraprendere un’azione legale contro la Bulgaria nuovo membro dell’Unione Europea, inserito come stato di transito chiave lungo la rotta del South Stream. La Commissione sosteneva che i contratti di costruzione non erano stati conferiti secondo le regole stabilite dalla legislazione dell’Ue. Questo tipo di pressione induce la Bulgaria a fermare la costruzione nell’estate del 2014. Con nessuna garanzia che la disputa legale sarebbe stata in proprio favore e conseguentemente nessuna garanzia che sarebbero stati in grado di usare il gasdotto, Gazprom fu costretta ad abbandonare il progetto. Gazprom aveva già speso circa il 20 – 40 per cento del suo budget per la prima metà del progetto. Data la pressione finanziaria delle sanzioni così come le tensioni tra la Russia e l’Occidente, la decisione di Gazprom fu di chiudere la saracinesca del South Stream.Non ci sembra una grande sorpresa che la rotta alternativa che Gazprom ha scelto sia la Turchia. Il contratto di Gazprom con Naftogaz (società ucraina) scade alla fine del 2018 e la Russia è impaziente di provare all’Europa che non userà più l’Ucraina come stato di transito. La Russia vuole sia il TurkishStream che il Nord Stream per iniziare ad operare in tempo per il 2019.
Italia Germania: 0-1
Il 9 luglio del 2015, Gazprom ha rescisso il contratto firmato con l’ENI e la società sussidiaria Saipem per la costruzione della prima delle quattro condutture parallele previste come parte del gasdotto South Stream da 63 milioni di metri cubici/all’anno. Vale la pena sottolineare che il progetto South Streamaveva come partner l’ENI per il 20 per cento. Il ministro italiano per lo Sviluppo Economico Federica Guidi annuncia ai quattro venti che il progetto non è nella lista delle priorità dell’Italia offrendo su un piatto d’argento alla Germania l’occasione per fare i suoi interessi. Il peso della politica estera italiana è tutto nei ripensamenti dello stesso governo, quando Renzi sottolineava la valenza del progetto South Stream sul fronte della sicurezza e dell’indipendenza energetica europea, il ministro Guidi lo liquida e ne decreta la morte senza Nordstreamcolpo ferire. Chi ne approfitta? ça va sans dire: la Germania.
Angela Merkel è stata molto lodata per la sua policy di tenere unita l’Ue  nel continuare l’imposizione delle sanzioni alla Russia. Ed è proprio il suo ministro dell’economia, Sigmar Gabriel che sostiene di far rivivere l’Ostpolitik: quella relazione privilegiata tra Russia e Germania durata fino agli anni 70. Proprio lui caldeggia e difende il progetto Nord Stream 2: l’estensione del primo gasdotto Nord Stream, che permetterebbe a Gazprom di trasmettere il gas direttamente dalla Russia alla Germania. Il progetto originale fu sostenuto dal predecessore della Merkel Gerhard Schröder, il quale oggi è sul libro paga della Gazprom. L’aggiunta di Nord Stream 2 vorrebbe dire una perdita per l’Ucraina di 1.8 milioni di euro all’anno in tariffa di transito.
Se la Commissione Europea ha persuaso Gazprom ad abbandonare South Stream, perché la Commissione non può applicare gli stessi principi a Nord Stream 2?
Ci sembra ora alquanto bizzarro che Renzi voglia “bacchettare” la Merkel sul fallimento del South Stream, dov’era quando la Commissione Europea minacciava azioni legali a Gazprom e alla Bulgaria e dov’era quando il ministro dello Sviluppo Economico del suo governo annunciava che il progetto non era la priorità del Paese? Questa è la politica estera italiana: è sempre colpa di qualcun altro dell’irrilevanza dell’Italia nei consessi internazionali.