Nella disperata difesa dell’indifendibile comportamento di alcune banche che hanno venduto prodotti finanziari potenzialmente – e realmente – pericolosi ai risparmiatori, il sistema creditizio nazionale si affanna a ripetere che le banche italiane sono le uniche, in Europa, a non aver avuto aiuti di Stato nel momento della crisi.
Aggiungendo subito dopo che anche nella vicenda delle banche tecnicamente fallite, la Repubblica italiana non ha messo mano al portafoglio per finanziare la cosiddetta “banca ponte”, gestita da Nicastro, nata dalle ceneri di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche.
Niente di più falso.
Non solo perché “in cambio” dello “sforzo” fatto dalle banche (con soldi che comunque avrebbero dovuto versare al Fondo e per metà con la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti mentre, per l’altra metà, con soldi prestati a “tasso di mercato”) hanno ottenuto il ripristino della “vecchia” aliquota Ires (per un valore di circa 5 miliardi) ma, soprattutto, perché il vero aiuto di Stato i nostri Istituti di credito, almeno i più grandi, lo hanno ottenuto nel 2013 quando il governo ha trasformato in azioni “vere” la loro “partecipazione” al capitale della Banca d’Italia -detenute dal 1936 – e il rendimento, cioè i dividendi, è improvvisamente balzato da 70 a 450 milioni all’anno.
Ma non è tutto: come dimostra l’articolo uscito oggi su Il Sole 24 Ore, bisogna valutare la plus valenza incredibile ottenuta dalle banche su azioni che, fino al giorno prima della riforma, valevano zero: soltanto Banca Intesa, infatti, sta mettendo sul mercato una quota del 5,7%, sul 37% posseduto, per un controvalore di almeno 430 milioni.
Dunque Banca Intesa è passata da zero euro a circa tre miliardi di capitalizzazione rispetto ad una partecipazione che doveva essere esclusivamente simbolica ma che – per una serie di motivi che chi vuole può approfondire leggendo l’articolo postato in questo link – è diventata inverosimilmente reale.
Con il rischio, non detto da nessuno, che prima o poi le Banche in possesso delle quote di Bankitalia possano “rivendicare” il possesso di riserve auree tra le più alte al mondo accumulate grazie agli italiani: come dire, oltre il danno anche la beffa.