di Caterina Mangia

“Un accordo storico”, ha detto Hollande. “Un passo decisivo”, la definizione di Renzi. “Abbiamo la chance di salvare il pianeta”, ha commentato Obama.
La conferenza sul clima di Parigi si conclude con un’intesa: l’impegno, recita l’articolo 2 del testo, è quello di “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”, restando “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali”. Si prevede inoltre la costituzione di un Fondo da 100 miliardi di dollari che i Paesi sviluppati destineranno ogni anno a quelli in via di sviluppo per sostenere lo sviluppo di fonti di energia meno inquinanti; si terranno poi verifiche quinquennali sullo stato di attuazione dei tagli ai gas serra a partire dal 2023.
Parigi torna a esserClimae la Capitale del dibattito sulla sicurezza: non solo per quanto riguarda il pericolo islamista e le contromisure geopolitiche da adottare, ma per un tema, quello della sopravvivenza del pianeta e della tutela dell’umanità, più trascurato e paradossalmente più minaccioso.
La temperatura globale è attualmente aumentata di un grado rispetto ai livelli pre-industriali: se l’incremento arrivasse a raddoppiare, il volto del pianeta cambierebbe irreversibilmente e le conseguenze – affermano gli scienziati – sarebbero incalcolabili: intere isole e città costiere, anche in Italia, potrebbero scomparire sotto l’urto delle onde, la neve scomparirebbe dalle montagne, i ghiacciai si scioglierebbero e intere zone del mondo dovrebbero fronteggiare siccità e desertificazioni, diventando inabitabili.
L’intesa raggiunta a Parigi segna forti cambi di passo nei confronti del passato: a differenza del vertice di Copenhagen di sei anni fa, si è conclusa con un testo di intesa. Rispetto a quanto avvenne per il protocollo di Kyoto, stavolta anche “grandi inquinatori” come Usa, India e Cina sono stati parte attiva: per questo il Presidente francese Hollande ha definito il protocollo “il primo accordo universale della storia in termini climatici”.
Tredici giorni di negoziati, sfociati in una trattativa-fiume, hanno portato all’elaborazione di 12 pagine e 29 articoli: l’incremento delle emissioni deve essere bloccato il prima possibile per arrivare a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”. (vedi i principali punti dell’accordo sul Corriere della Sera)
L’obiettivo dell’intesa – fermare la febbre del pianeta – è ambizioso e la posta in gioco altissima; tuttavia il testo presenta luci e ombre.
Il protocollo di Parigi non fissa infatti alcun termine per la fine dello sfruttamento del carbone e petrolio; alcuni punti dell’accordo, inoltre, sono su base volontaria e non vincolanti.
La maggiore critica che viene mossa al testo riguarda infine il fatto che, nonostante siano previste verifiche periodiche sulla riduzione delle emissioni, non saranno applicate sanzioni in caso di mancato mantenimento degli impegni: è dunque possibile che si apra un divario tra ciò che è stato annunciato e ciò che verrà realizzato.
Per tutti questi motivi George Monbiot, giornalista del Guardian, ha così definito l’intesa: “un miracolo rispetto a quello che avrebbe potuto essere” e “un disastro rispetto a quello che avrebbe dovuto essere”.