Sono i giovani e le donne, soprattutto neo madri, ad aver pagato più di tutti le conseguenze della crisi economica. Secondo l’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori è una pesante eredità quella con cui il nostro Paese deve fare i conti che ha provocato oltre alla consistente diminuzione del numero di occupati e alla crescita delle persone in cerca di occupazione” anche “una quasi costante diminuzione dei lavoratori a tempo indeterminato, soprattutto per i più giovani” e un deciso aumento del lavoro su basi orarie ridotte, nella maggior parte dei casi con carattere di involontarietà”.
Secondo l’Istituto, dunque, la fase recessiva ha portato a un maggiore utilizzo delle forme di lavoro atipiche, accentuando la tendenza delle imprese a servirsi del lavoro non standard in modo da ridurre i rischi legati alle fluttuazioni dei mercati.
Sebbene l’inizio del 2015 sia stato caratterizzato da primi segnali positivi sul fronte economico e da un aumento del numero di occupati, ci sono però delle criticità che frenano ancora il nostro Paese e per questo, come sostenuto dal segretario confederale dell’Ugl, Fiovo Bitti, “è difficile guardare con fiducia ai prossimi mesi”.
Nell’indagine che ha coinvolto 45mila giovani, fra i 20 e i 34 anni, l’Isfol sostiene che per i giovani il lavoro ha una “funzione strumentale”, finalizzato principalmente al sostentamento economico
e, in secondo luogo, al perseguimento dei propri interessi. La coerenza tra il percorso di studi e le attività di lavoro assume sempre meno peso nella scelta del lavoro (per il 62,8% degli intervistati), a favore di un contesto occupazionale che garantisca buone relazioni tra pari (89,8%), una retribuzione adeguata (per il 92,5%) e soprattutto un livello elevato di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (93,7%). In sintesi, i giovani vogliono vivere e lavorare “in un paese dove siano garantiti i diritti minimi di cittadinanza attiva e dove la questione della tutela e sicurezza sul luogo di lavoro diventa prioritaria, anche prima della realizzazione personale”. I gravi effetti della crisi economica, però, si riflettono anche sul futuro delle famiglie. L’ultima indagine campionaria sulle nascite condotta dall’Istat in collaborazione con l’Isfol ha evidenziato, infatti, come la contrazione del comportamento riproduttivo (1,37 figli per donna nel 2014) abbia avuto solo parzialmente carattere volontario, dal momento che la numerosità familiare “attesa”, ovvero il numero medio di figli che le donne vorrebbero avere nella loro vita, risulta superiore a 2 figli per donna. La crisi ha impattato, in particolare, sulla vita professionale delle neo-madri. Alcune di queste, che risultavano occupate al momento della gravidanza, non lo sono più dopo la nascita del figlio (22,3% delle occupate in gravidanza) e il dato è in aumento rispetto al 2005 (18,4%). Più della metà delle madri che hanno smesso di lavorare ha dichiarato di essersi licenziata o di avere interrotto l’attività che svolgeva come autonoma (52,5%): quasi una madre su quattro ha subito il licenziamento. Mentre per una su cinque si è concluso un contratto di lavoro o una consulenza. Tra i motivi che hanno spinto le madri a lasciare il lavoro si osserva che, rispetto al 2005, diminuiscono – pur restando decisamente prevalenti – le motivazioni riconducibili a difficoltà di conciliazione dei ruoli (dal 78,4% al 67,1%), mentre aumentano quelli legati all’insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto, sia in termini di mansioni che di retribuzione (dal 6,9 % al 13,5 %). Tra le occupate si registra, invece, un aumento delle difficoltà di conciliazione: dal 38,6% nel 2005 al 42,7% nel 2012.
Rimangano dunque intatti gli ostacoli che penalizzano le donne e gli under 29. Secondo l’Ugl “come prevedibile il contratto a tutele crescenti, fortemente incentivato sotto il profilo economico e normativo, ha finito per fagocitare l’apprendistato”.
“Il rapporto – ha spiegato Bitti – conferma l’importanza di avere un monitoraggio costante degli andamenti occupazionali, cosa che l’Isfol fa egregiamente, ma del quale non vi è certezza sul futuro. In questo senso, ci aspettiamo parole chiare dal ministro Poletti con un coinvolgimento delle confederazioni sindacali”.