di Nazzareno Mollicone, Dirigente confederale Ugl

Le numerose esternazioni dell’attuale presidente dell’INPS Tito Boeri sul sistema pensionistico e sui dati dell’Istituto di cui è presidente da Natale 2014, si sono concretizzate in un lungo documento (69 pagine!) intitolato “Non per cassa, ma per equità” e pubblicato sul sito dell’Inps.
Le osservazioni da fare al riguardo sono tantissime, ma ci limitiamo ad alcune, proprio iniziando dalla pubblicazione sul sito. Infatti, il fatto che egli sia presidente dell’INPS, peraltro senza alcuna pregressa specifica esperienza nel campo della legislazione e della gestione previdenziale, non lo esime dall’ignorare totalmente il parere di un organismo che lo affianca nella gestione dell’Ente. Trattasi del “Consiglio d’indirizzo e vigilanza”, costituito dalle Parti Sociali – ossia dai veri “proprietari” dell’Ente perché sono i rappresentanti di coloro che pagano i contributi – il quale, lo dice la sua stessa denominazione, ha proprio il compito di “indirizzare” l’azione dell’Ente tramite la sua presidenza. Non ci risulta che il CIV abbia mai esaminato e discusso quel documento, che è un vero e proprio programma di politica legislativa nei confronti del sistema previdenziale.
Sempre restando nella forma e nei ruoli, cose che non ci sembrano abbiano importanza per questo presidente, è ben noto come la presentazione delle proposte di modifiche giuridiche ed economiche del sistema previdenziale ed assistenziale sia un compito specifico ed esclusivo del governo, ed in particolare del ministero del lavoro, il quale poi le deve sottoporre al Parlamento ed anche – come si è sempre fatto per questo tipo di riforme, con la sola eccezione della prof.sa Fornero – alla consultazione delle Parti Sociali, per la motivazione anzidetta (contributori ed usufruitori del sistema). Boeri invece si assume il ruolo che non è il suo, tanto da farsi dire dal ministro del lavoro Poletti che quella proposta “non è dal nostro punto di vista compatibile e coerente con le scelte che stiamo facendo”.

Tito Boeri, presidente dell'Inps

Tito Boeri, presidente dell’Inps

Nel merito, poi, le tesi di Boeri sono stravaganti. Egli si preoccupa dei lavoratori ultra 55 anni che, non lavorando, sono in condizioni di “povertà” e quindi vanno aiutati economicamente. Come? Riducendo le pensioni alle 250.000 persone che percepiscono trattamenti elevati. Ebbene, qui ci sono una serie di errori:

  • Se si tratta di una questione assistenziale, a questa deve pensarci lo Stato con la fiscalità generale senza intaccare i redditi pensionistici “elevati” (ma conseguiti secondo le norme in vigore) di altre persone. Fra l’altro, lo stesso ministro del lavoro Poletti ha precisato come “la povertà non riguarda solo le persone che hanno più di 55 anni, ma in generale il nostro Paese”. In ogni caso, visto che si parla di “assistenza”, non si capisce perché Boeri non proponga anche la vecchia richiesta sindacale, conforme alla Costituzione, di separare con due Enti distinti e con finanziamenti distinti, l’assistenza dalla previdenza;
  •  Se essere disoccupati oltre 55 anni significa povertà perché non si ha né reddito né pensione, allora si conferma l’erroneità della riforma Fornero che ha spostato per tutti i lavoratori indistintamente l’età pensionabile a 67 anni creando così proprio una massa di “esodati” senza lavoro e senza pensioni. Che si aspetta allora ad annullarla? Inoltre, vorrebbe dire che tutte le norme del “job act” sul ricollocamento dei disoccupati da parte dell’Agenzia nazionale del lavoro sono illusorie, anche se bisogna convenire che ha ragione Poletti quando dice ”non me la sento di certificare il fatto che una persona a 55 anni non può più lavorare”;
  •  E’ del tutto infondata, tecnicamente e storicamente, l’ipotesi di Boeri di “procedere ad un vero e proprio ricalcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo”. Bisognerebbe ricordargli che il metodo contributivo è entrato in vigore solo dal 1995, e si applica da allora in poi ai lavoratori che a quell’epoca avevano meno di 18 anni di contributi, ossia – immaginando un inizio precoce dell’attività lavorativa a 18 anni, abbastanza raro – alle persone nate dal 1960 in poi, persone quindi che percepiranno la pensione, secondo la legge Fornero, tra dodici anni!
  •  Per i periodi precedenti non ci sono documenti che consentano di ricostruire i singoli contributi, perché i versamenti aziendali erano collettivi ed indifferenziati. Ma per il pubblico impiego è ancora peggio, perché fino al 1995 lo Stato non versava neanche i contributi, né singoli né collettivi ma si limitava a pagare le pensioni man mano che maturavano in base all’ultima retribuzione;
  •  Per quanto riguarda i vitalizi delle cariche elettive pubbliche, Boeri sa bene che questa è materia costituzionalmente attribuita alle singole assemblee come “interna corporis” e quindi l’Inps (che NON eroga quelle pensioni) non ha alcuna competenza né possibilità d’intervento: parlarne, è solo demagogia o comunque una personale opinione che non attiene alle competenze ufficiali dell’Inps;
  •  Certamente il sindacato è contrario alle cosiddette “pensioni d’oro”, attribuite in passato in base a leggi particolari. Esse non sarebbero sorte se si fosse stabilito il principio, in vigore fino alle riforme post-belliche, del tetto massimo alla contribuzione obbligatoria e, conseguentemente, anche alla pensione. Quel “tetto” era stato stabilito, prima della guerra, a 1.500 lire mensili, oggi equivalenti a circa 2.000 euro. Forse è troppo poco, bisognerebbe innalzarlo a 6.000 euro in considerazione dell’elevazione costante delle retribuzioni contrattuali. Secondo il principio che era alla base di quella norma, si presupponeva chi ha redditi elevati possa pagarsi una pensione integrativa, ed oggi ce ne sono di molti tipi, negoziali od assicurative. Questo non lo si fa perché si vogliono incassare i contributi dei redditi da lavoro più elevati: poi però bisogna pagare anche pensioni elevate!
  •  Un’ultima questione riguarda le pensioni dei sindacalisti in aspettativa, che possono essere raddoppiate con i contributi versati sulle retribuzioni corrisposte dal sindacato in aggiunte a quelle figurative. La soluzione è semplice: basta una legge che o annulla il contributo figurativo o non sottopone a contribuzione i redditi di natura sindacale, ferma restando l’Irpef, secondo il principio che se un sindacalista vuole una pensione aggiuntiva se la paghi da solo. Comunque, questa polemica tende a mettere in cattiva luce i sindacalisti dei quali solo una piccola minoranza, in genere appartenente al pubblico impiego, si avvale di questa agevolazione.

Ci sarebbe molto altro da scrivere sull’attuale presidente dell’Inps, ma da quello che abbiamo letto delle sue esternazioni ci sembra di aver intuito che egli non conosca bene la materia di cui è stato chiamato ad occuparsi.