…..serve unità sindacale per salvaguardare le centinaia di vertenze

1) Don Ciotti, nel 1995, nasce Libera, quali erano le aspettative, quali le difficoltà di quei primi passi verso una battaglia delicata e pericolosa contro la criminalità organizzata?

“Le aspettative erano e rimangono quelle di fare la nostra parte di cittadini e associazioni impegnati per il bene comune derubato dalle mafie e dai loro fiancheggiatori. Le difficoltà sono state e sono tante, ciò che conta è affrontarle con lo spirito giusto, sapendo che la continuità e la condivisione dell’impegno sono gli ingredienti essenziali per risolverle. Più nello specifico uno dei problemi è il pregiudizio, ancora molto diffuso, che le mafie siano un fenomeno solo di natura criminale e non invece, come sono, un male che chiama in causa anche il nostro modo di vivere le responsabilità della democrazia. Non a caso il primo passo di Libera è stato, tra il 1995 e il 1996, quello di mobilitarsi e raccogliere oltre 1 milione di firme per l’approvazione della legge sulla confisca dei beni mafiosi e il loro riutilizzo sociale. Libera nasce dalla presa di coscienza che per sconfiggere le mafie non bastano i magistrati e le forze di polizia: occorre l’impegno sociale, il mettersi in gioco di tutti. Occorre che le “terre bruciate” delle mafie siano restituite al bene pubblico e trasformate in luoghi di lavoro, di partecipazione, di cultura”.

2) Sono sue parole: «Bisogna rendere illegale la povertà e affrontare le conseguenze di una crisi da cui dobbiamo aiutarci ad uscire, insieme». Come farlo?

“Questa crisi è economica negli effetti, ma etica e culturale nelle cause. Non possiamo uscirne senza la corresponsabilità, cioè la coscienza che le nostre singole vite sono legate da un bene comune. Per uscire dalla crisi occorrono allora scelte politiche coraggiose, che riducano disuguaglianze inaccettabili e ridiano a tutte le persone un lavoro e i mezzi per vivere dignitosamente. È a questo scopo che abbiamo lanciato la campagna ‘Miseria ladra’, le cui proposte si possono trovare nei siti di Libera e del Gruppo Abele. Ma è necessario al tempo stesso un grande investimento culturale ed educativo. È l’individualismo irresponsabile ad averci portato a questo punto. E ne usciremo solo costruendo comunità dove l’“io” si riconosce nel “noi” e non persegue più il suo interesse a danno di quello comune”.

3) La criminalità organizzata ostacola l’economia sana ma soprattutto sa muoversi con rapidità tra i più deboli, tra chi ne risente di più di questa crisi, i giovani. Come “dribblare” questo spettro?

“Il prefetto Dalla Chiesa, poco prima di essere ucciso, disse al giornalista Giorgio Bocca, in un’intervista, che il metodo più sicuro per sconfiggere le mafie è dare come diritto ciò che loro danno come favore. L’intuizione di Dalla Chiesa è più che mai valida: le mafie si sconfiggono con i posti di lavoro, con una scuola che funziona e che sappia allenare alla vita, con quelle politiche sociali che danno ai cittadini il senso concreto della prossimità, il senso che il territorio che abitano è ‘cosa di tutti’. Non basta reprimere, occorre prosciugare il “brodo di coltura” mafioso. Ma, ripeto, ciascuno deve assumersi la sua quota d’impegno e di responsabilità. Non possiamo aspettare che siano gli altri a fare al posto nostro; la democrazia è incompatibile con l’essere cittadini passivi o intermittenti”.

4) Lanci un appello alle giovani generazioni, dia loro una speranza proprio in questo momento dove tutto diventa più difficile.

“Più che di appelli, i giovani hanno bisogno di opportunità. Quando gliele si offre, rispondono alla grande. Penso, restando al contesto di Libera, alla possibilità di passare un periodo delle vacanze estive nelle cooperative che gestiscono i beni confiscati alle mafie: arrivano in migliaia da ogni parte d’Italia e perfino dall’estero, testimonianze di solidarietà, di bisogno di sapere, di responsabilità. I giovani hanno sete di vita, di esperienza, di orizzonti più grandi di quelli offerti dal consumismo della ‘società dell’io’ – avere, potere, immagine – e se vengono messi in condizione di sviluppare le loro capacità diventano risorse preziose per tutti. La disoccupazione giovanile è uno scandalo, forse il più grande del nostro tempo. Un Paese che non investe nella scuola, nella ricerca, nel lavoro, è un Paese che sbarra la porta al suo stesso futuro”.

5) In questi lunghi anni di impegno sociale, di sacrifici, ha mai avuto paura? Ha mai pensato “ora mollo tutto”?

“Non ho mai pensato di mollare tutto, ma ci sono stati, non lo nascondo, momenti di fatica, di smarrimento e anche di amarezza. A darmi la forza è stato ogni volta il Padreterno, che non mi abbandona mai; i molti amici con cui ho condiviso l’impegno in questi anni e la gioia di vedere tante persone recuperare una dignità e una libertà perdute. Ma i miei non sono stati “sacrifici”, rinunce. Misurare la libertà con il metro dell’io è un grande errore. La libertà è molto più grande di ciascuno di noi. Il che non vuol dire che possiamo farne a meno, ma che siamo davvero liberi quando impegniamo la nostra libertà per gli altri, per liberare chi ancora libero non è”.

6) Secondo lei quali provvedimenti immediati migliorerebbero in maniera pratica le condizioni dei lavoratori italiani?

“Non sono un tecnico e sarebbe presuntuoso da parte mia dare indicazioni. Posso solo dire che buoni e urgenti sono quei provvedimenti che cercano di ricomporre la frattura fra il lavoro e i diritti. È una frattura inaccettabile non solo dal punto di vista etico e sociale – a farne le spese sono state milioni di persone che hanno perso il lavoro o che nemmeno col lavoro vivono più decentemente – ma svantaggioso da quello economico. Solo i diritti, e le relative responsabilità, convertono lo sviluppo economico in progresso sociale e civile. Ogni diritto nasce da un bisogno profondo della persona, non è una formulazione astratta ma la definizione della soglia sotto la quale la vita umana perde la sua dignità”.

7) I sindacati, dal suo punto di vista, in questa fase segnata da centinaia di vertenze di lavoro, stanno tutelando nel migliore dei modi i lavoratori?

“Anche in questo caso mi limito, da “esterno”, a una considerazione di carattere generale. Premesso che nel sindacato ho conosciuto persone di grande valore – generose, disinteressate e competenti – credo che la tutela dei lavoratori sia tanto maggiore quanto più ampia è l’intesa fra le diverse organizzazioni sindacali. In un momento come questo, di disperazione e spesso di tragedia legate al problema del lavoro, è urgente trovare, sia pure nelle differenze, una base comune. Naturalmente, quest’intesa va ricercata tra tutte le realtà dei territori – enti locali, associazioni, sigle imprenditoriali, non solo tra i sindacati – chiedendo certo alla politica di fare la sua parte ma mettendosi ognuna, con le proprie competenze e risorse, a servizio del bene comune. La questione del lavoro è di tale portata che possiamo affrontarla solo unendo le forze, facendo prevalere le ragioni del “noi” sugli impulsi dell’ ‘io’, impegnandoci tutti per superare gli individualismi e gli egoismi che hanno frammentato e indebolito il nostro essere comunità”.