di Mario Bozzi Sentieri

 

Secondo una recente ricerca sulle opinioni degli italiani (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo) per  il 66,8% degli intervistati (due elettori su tre) la democrazia non può funzionare senza partiti. Il dato è oggettivamente clamoroso, se messo in rapporto con la sempre più bassa considerazione che gli italiani hanno verso le istituzioni politiche, a cominciare dai partiti, e la scarsa partecipazione al voto con punte che hanno toccato, in occasione delle ultime elezioni amministrative, più del 50% degli aventi diritti. D’altro canto poco più della metà degli intervistati è interessato alla politica, mentre i partiti non piacciono per come sono oggi e molto bassa (25,3%) appare l’identificazione verso di essi.

Il dato iniziale, quello che evidenzia un ruolo centrale dei partiti rispetto al sistema di rappresentanza democratica, più che una scelta convinta appare allora come una sorta di complesso referenziale verso un modello elettorale, che non sembra offrire alternative,  malgrado l’oggettiva gracilità del rapporto tra cittadini ed istituzioni politiche.

E’ proprio per  questa “gracilità” che i partiti vanno ripensati, in ragione del venire meno delle storiche appartenenze ideologiche e dell’emergere di un elettorato mobile e selettivo, che utilizza il voto (e anche il non voto) in modo strumentale.

In questa realtà c’è l’eco, del tutto inconsapevole,  di quanto scriveva, agli inizi degli Anni Quaranta del ‘900, Simone Weil, l’intellettuale francese, la quale auspicando la soppressione dei partiti, vedeva  gli eletti associarsi e dissociarsi “in base al gioco naturale e mutevole delle affinità”.

La critica della Weil ai partiti muove, al di là di un apparente pragmatismo, da un’esigenza sostanzialmente etica, se non moralistica. Al fondo c’è   quella ricerca della Verità, che le faceva  considerare la democrazia ed il potere della maggioranza come dei mezzi  per raggiungere il bene, laddove ogni partito appariva totalitario “in germe e nelle aspirazioni”.

Alla “vaghezza” del partito politico – delineato dalla Weil – che cosa realisticamente opporre ?

Il quesito non è facile. Particolarmente oggi dove alla bassa tensione ideale fa riscontro la complessità delle decisioni e la regola della maggioranza – torniamo, da un altro punto di vista,  alla critica della Weil – non sembra essere un criterio sufficiente a legittimare scelte “di valore”.

La grande cesura da sanare – in estrema sintesi – è quella tra  Paese legale e Paese reale. Per dare voce a quest’ultimo dove cercare ? Una concreta base di partenza  sono  le competenze e i legittimi interessi organizzati dei cittadini. Tra questi anche i Sindacati possono svolgere un ruolo importante, finalmente riconsegnati ad una dimensione “universale”, cioè liberi da ogni determinismo ideologico e di classe; mobilitati nel rappresentare direttamente lo spirito popolare; impegnati a costruire un nuovo sistema partecipativo a base professionale.

Anche i partiti ne trarrebbero giovamento, liberi finalmente da quella “vaghezza della dottrina” – per dirla con la Weil – che ieri ed ancor più oggi ne rappresenta il male principale. Ad incalzarli una rinnovata domanda di competenza, di partecipazione, di volontà ricostruttiva che la gente stenta a vedere, accontentandosi di legittimare formalmente il ruolo dei partiti, ma disprezzandoli nel profondo.