Ieri la Commissione Affari Esteri del Senato ha dato un primo via libera al ddl di ratifica del Ceta, il controverso accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada approvato a febbraio dal Parlamento Europeo. Con 15 voti a favore e 6 contrari il testo passa ora alla plenaria, dove il voto deve ancora essere calendarizzato.
Tutto ciò è avvenuto mentre era in corso una vera e propria mobilitazione in piazza del Pantheon, di tutti coloro (da associazioni a sindacati) che ritengono tale accordo antidemocratico, troppo favorevole alle multinazionali e un vero e proprio colpo all’agricoltura e ai prodotti del Made in Italy che saranno ulteriormente indeboliti da una concorrenza sleale e pericolosa.
La protesta è legata alla necessità di fermare la ratifica del trattato e riaprire in Europa una discussione più intelligente sulla struttura e la funzione del commercio al servizio delle comunità, dei diritti e dell’ambiente. Il 5 luglio si replicherà con una nuova manifestazione, questa volta a Montecitorio.
Tutti ‘buoni propositi’ che, molto probabilmente resteranno sigillati nel corposo documento (di 1598 pagine) del Comprehensive Economic and Trade Agreement c’è l’eliminazione della gran parte delle tariffe doganali (circa il 99 per cento) tra Unione Europea e Canada. Inoltre l’accordo prevede la partecipazione delle imprese europee alle gare per gli appalti pubblici in Canada e viceversa, di stabilire il reciproco riconoscimento di titoli professionali e nuove regole per proteggere il diritto d’autore e i brevetti industriali. In base a questo accordo commerciale, le multinazionali potranno fare ‘business’ in Canada nel settore dei servizi.
Si profilano, però, anche rischi legati al principio di precauzione e alla sicurezza alimentare: il Ceta, infatti, non vincola il commercio di sostanze chimiche e pesticidi ma rinvia decisioni chiave a comitati tecnici difficilmente accessibili, il cui mandato non è tanto tutelare la salute pubblica, quanto piuttosto fluidificare gli scambi tra i due lati dell’Atlantico.

Importante evidenziare che l’accordo, proprio in riferimento al capitolo della sicurezza alimentare, prevede la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici ma taglia fuori ‘prodotti sensibili’ come la carne di bovino e di maiale canadesi e il grano duro esportati in Ue, mettendo così in pericolo la nostra agricoltura e dando spazio alla concorrenza sleale e pericolosa.
Il Canada è il principale competitor nel mercato del grano duro, di cui è il primo paese produttore ed esportatore mondiale. In Canada si producono, grosso modo, due tipi di grano duro, uno dei quali è ricco di contaminanti (quello di 3°-4°-5° grado). Quello di 3° grado è ufficialmente l’ unico che arriva in Italia, in prevalenza al Porto di Bari.
Per la Coldiretti ‘la Ceta legalizza la pirateria alimentare, accordando il via libera alle imitazioni canadesi dei nostri prodotti più tipici e spalancando le porte all’invasione di grano duro trattato in preraccolta con il glifosdato, diserbante che, ricordiamo è vietato in Italia e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero”.
Insomma alla Coldiretti punta il dito contro un accordo definito ‘devastante’ sulla coltivazione di grano in Italia con il rischio di danneggiare gli allevatori italiani, i consumatori e i negoziati internazionali. Interessante poi notare che secondo il Dossier stilato dalla Coldiretti delle 291 denominazioni Made in Italy registrate ne risultano protette appena 41, le restanti 250, quindi, sono senza alcuna tutela.
E’ bene ricordare che il Ceta non consentirà deroghe. Insomma gli interessi delle multinazionali verranno prima degli interessi degli Stati. Se per esempio GranoSalus dovesse permettersi di far causa al Ministro della Salute per far rispettare il divieto sul glifosate, le multinazionali che esportano il grano in Italia si rivarrebbero direttamente sullo Stato italiano. Quindi, oltre a danno anche la beffa.
Le preoccupazioni maggiori riguardano anche il capitolo sullo sviluppo sostenibile, privo di meccanismi vincolanti per le aziende che violino normative ambientali o i diritti del lavoro. Sul fronte ambiente- energia le cose non vanno meglio, dal momento che il Canada è descritto come un partner affidabile nella lotta al cambiamento climatico, ma viste le politiche attuali mancherà sia il proprio impegno di riduzione delle emissioni per il 2020 che l’obiettivo al 2030.
Il paese della ‘foglia d’acero’ elargisce 3,3 miliardi di dollari l’anno in sussidi pubblici ai combustibili fossili, tra cui l’inquinante petrolio da sabbie bituminose.
La presidente Justin Trudeau ha supportato inoltre la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, un progetto da 8 miliardi di dollari per portare quel petrolio negli Stati Uniti.