di Francesco Paolo Capone – Segretario generale Ugl

Il segretario generale dell'Ugl, Francesco Paolo Capone, al TgR Marche 21.04.17

Il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone

Se “la causa maggiore di insorgenza del conflitto”  che porta alla proclamazione dello sciopero “è riconducibile al rinnovo dei contratti nazionali di lavoro” e ad affermarlo non è un sindacalista, ma il presidente dell’Autorità Garante degli Scioperi, Giuseppe Santoro Passarelli, perché si insiste a chiedere da parte dello stesso Garante, e non solo, la riforma della legge sugli scioperi?

Qualcosa non va e purtroppo lo dimostrano persino le richieste dei segretari generali delle principali confederazioni: Camusso, segretario generale Cgil, chiede non una riforma sulla legge che regola gli scioperi ma una legge sulla rappresentanza; Furlan, segretario generale Cisl, chiede che al centro di una legge sulla rivisitazione del diritto di sciopero ci sia il tema della rappresentanza; Barbagallo, segretario generale Uil, chiede una “discussione seria” che porti alla regolazione del conflitto attraverso lo “sciopero virtuale”. Il rischio è che se il sindacato, tutto, non riesce a trovare una sintesi, sarà qualcun altro a farla calare dall’alto. A tal proposito non possiamo dimenticare che sulla famosa questione dell’assemblea dei lavoratori al Colosseo il Governo Renzi intervenne sul diritto di sciopero con un decreto legge.

Dal canto suo anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, tenta la strada dell’impossibile ovvero quella del “punto d’equilibrio” tra il diritto dei lavoratori a scioperare e la tutela dei cittadini. Che è un po’ come pretendere di non entrare in contatto con l’acqua quando si fa il bagno. Lo sciopero è un grido di allarme, una estrema ratio, un tentativo a volte disperato per sbloccare una trattativa arrivata ad un punto di non ritorno, per indurre un datore di lavoro, lo Stato o un privato, ad ascoltare le regioni dei lavoratori e/o a venire a più miti consigli.

Ogni volta che una città, una grande città si blocca per un giorno si scatena la polemica: la politica si indigna per prima, poi il Garante chiede una riforma della normativa, i sindacati maggiori imputano spesso alla frammentazione delle sigle la causa della paralisi cittadina. È come se tutti facessero finta di non sapere che nel Trasporto pubblico il diritto di sciopero è regolato da una legge e che per poter scioperare occorre l’autorizzazione dello stesso Garante a pena di multe salatissime. Senza dimenticare che un lavoratore non iscritto ad un sindacato può scegliere di aderire ad uno sciopero di una o più sigle – o di una sigla diversa da quella a cui è iscritto – se le ragioni della protesta lo convincono. Ma soprattutto forse tutti fanno finta di non capire che nessuno può impedire ad una lavoratrice e ad un lavoratore  di protestare, di scendere in piazza, a fronte di uno stipendio non pagato e di un contratto non rinnovato. Davvero, la legge sul diritto di sciopero non c’entra nulla.

Non è un caso se oltre al Trasporto pubblico locale, settore nel quale insiste il fenomeno degli stipendi non pagati (per il 16% delle proteste), al Trasporto ferroviario dove persiste il problema del mancato rinnovo del contratto, l’altro a più alta incidenza di proteste sia quello del Trasporto aereo che con Alitalia sta vivendo la sua ennesima odissea. Secondo i dati del Garante sono 118 astensioni rispetto alle 74 del 2015 (le proclamazioni sono state 215 contro le 153 dell’anno precedente), delle quali 49 di rilevanza nazionale. Le cause di insorgenza rimangono legate a vertenze per il rinnovo del contratto o a iniziative di ristrutturazioni aziendali, ma anche contro interventi legislativi o del governo.

È proprio a questo punto che viene da pensare male, perché se non ci fosse la legge sulla regolamentazione degli scioperi nel settore pubblico, la situazione delle grandi città sarebbe ancora peggiore. Fatto salvo il diritto dei cittadini ad avere un servizio efficiente, perché a loro volta anch’essi sono lavoratori, e sicuro, condizione spesso non esattamente garantita come più volte denunciato in Atac proprio dall’Ugl, qui c’è in gioco ben altro e non può non venire in mente un grande bavaglio.

Si finge infatti di dimenticare, da troppe parti, che nella nostra Costituzione sono sanciti il diritto alla libertà di associazione (art.18) – quindi indirettamente anche il diritto all’adesione a sigle sindacali più o meno piccole – e il diritto allo sciopero (art.40).

Tali diritti esistono indipendentemente dalla rappresentanza e dalla rappresentatività delle sigle sindacali, perché si fondano sulla validità delle idee e dei valori così come di una singola protesta, che è del tutto e sempre legittima quando uno stipendio non viene pagato o quando uno stipendio è fermo da anni, al punto da non avere più un potere d’acquisto congruo, o ancora peggio quando non vengono rispettare le normative sulla sicurezza.

L’impressione che se ne ricava, dal dibattito di questi giorni, è che dietro il legittimo diritto dei cittadini alla mobilità si voglia smontare ed inasprire una normativa già esistente e stringente per assestare un ulteriore colpo al ruolo dei corpi intermedi.