di Annarita D’Agostino

In un Paese sempre più anziano, lo Stato continua a dimenticare i giovani: secondo le rilevazioni dell’Istat, l’intervento pubblico sui redditi attraverso tasse e benefici è stato indirizzato ad abbattere “il rischio di povertà delle famiglie anziane”, le quali sono allo stesso tempo “le più esposte e le più tutelate, cioè quelle per cui la redistribuzione consegue il maggior effetto”. Al contrario, “le coppie giovani” e “quelle adulte con minori, dopo l’intervento pubblico risultano più esposte al rischio di povertà”. Fanalino di coda del welfare i giovani single e i ‘monogenitori’ con bambini, ai quali va la maglia nera dei “meno tutelati” dallo Stato sociale italiano.
Sotto la lente dei ricercatori Istat sono finite le poche politiche redistributive del periodo 2014-2016: bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva. Questi interventi hanno incrementato di pochi centesimi l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l’indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà dal 19,2 al 18,4%, un calo di appena -0,8%. L’indigenza è scesa al 17,1% fra gli anziani soli, e al 9,9% per le coppie, mentre fra i giovani il rischio resta superiore al 30%.
Passando dalle famiglie agli individui, “l’analisi delle stime del rischio di povertà per le diverse classi di età mostra, oltre alla evidente funzione di sostegno delle pensioni per le persone di 65 anni e più, anche un aumento del rischio di povertà, dopo l’intervento pubblico, per i giovani nella fascia di età dai 15 ai 24 anni (dal 19,7 al 25,3%) e per quelli dai 25 ai 34 anni (dal 17,9 al 20,2%)”. Inoltre, l’Istat rileva “un limite evidente del sistema” nella debole tutela dei minori che appartengono alle famiglie più povere: dopo l’intervento pubblico, il rischio di povertà è aumentato dal 20,4 al 25,1% per chi ha meno di 14 anni. Ancora, “soltanto il 16,3% degli individui fra i 25 e i 34 anni del quinto più povero avanza nella scala dei redditi” e “il 65% di quelli del secondo quinto retrocede”. Uno svantaggio imputabile soprattutto alle “difficoltà di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro”.
Il bonus di 80 euro ha prodotto ulteriori effetti paradossali: la sua efficacia è stata maggiore, sia in valore assoluto che come quota di beneficiari, sui redditi medio-alti, a causa dell’ incapienza diffusa e della presenza di più lavoratori dipendenti nelle famiglie appartenenti a questa categoria.
Per quanto riguarda la quattordicesima, gli effetti più importanti  sono stati osservati su circa 940mila famiglie a reddito medio-basso, per un importo medio di 310 euro l’anno. E’ il Sia, il Sostegno di inclusione attiva, la misura più concentrata sulle fasce più povere della popolazione: secondo le stime Istat, nel 2016 ha raggiunto circa 210mila famiglie, per un importo medio di 875 euro e una spesa complessiva non superiore ai 200 milioni di euro. Ma, in ogni caso, gli effetti sono “decisamente inferiori rispetto alle intenzioni del legislatore, poiché nel 2016 non si è potuto spendere l’intero stanziamento disponibile, pari a 750 milioni di euro”.
Insomma, c’è un’ipoteca pesante sul futuro del Paese, ma lo Stato continua ad essere insolvente.