di Nazzareno Mollicone

La lunga stagione elettorale francese di quest’anno –  iniziata con le accuse giudiziarie contro Fillon, che all’epoca era il candidato favorito per la presidenza della Repubblica, proseguita con le “eliminatorie” del primo turno, arroventatasi con lo scontro diretto al secondo turno e poi proseguito con il primo turno delle elezioni per l’assemblea legislativa – si è conclusa domenica con i risultati definitivi che hanno insediato il nuovo Parlamento francese.

L’astro nascente Macron – che è stato dipinto da Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” come il tipico rappresentante della borghesia francese e di tutto quell’ambiente di “laureati, benestanti, abitanti delle grandi città, padroni dell’inglese e delle tecnologie, fiduciosi nel mondo globale e nel futuro” – ha ottenuto la maggioranza dei seggi all’Assemblea: solo 306, però, non oltre 400 come prevedevano tutti i media posseduti od influenzati dagli ambienti sopra descritti.

Ma la cosa veramente assurda del sistema elettorale francese (imposto, ricordiamolo, da De Gaulle giunto al potere con un colpo di Stato dopo le contestazioni del maggio 1968 a Parigi ed in Algeria) è la sua assoluta mancanza di rappresentatività degli elettori.

Il primo dato che salta all’occhio è l’elevata percentuale degli astenuti o delle schede bianche: sui 47.300.000 d’iscritti nelle liste elettorali, i voti validi sono stati solo 18.176.000, ossia il 38%.

E di questi voti validi il Macron ne ha conseguiti solo 7.826.000, corrispondenti al 16,50%! Il che vuol dire che è stato votato solo da un elettore su sei: cioè, solo proprio da quei “borghesi benestanti” così ben descritti da Aldo Cazzullo. Eppure, in questo modo ha ottenuto la maggioranza dei seggi dell’assemblea parlamentare grazie alla legge elettorale.

Ma vi sono altre incongruenze in quel sistema maggioritario. Per effetto dei veti incrociati al secondo turno o di accordi trasversali, i seggi ottenuti non corrispondo ai voti effettivi conseguiti dai singoli partiti. Facciamo due esempi: il “Front National” di Marine Le Pen, con 1.590.000 voti, ha ottenuto otto seggi; Melenchon, della “France Insoumise”, con la metà dei voti (884.000) ha ottenuto più del doppio dei seggi, ossia 17. Ancor più impressionante il confronto con il Partito Comunista Francese: ha ottenuto solo 218.000 voti (a tanto si è ridotto lo storico partito di Georges Marchais…) ma ha conquistato dieci seggi.

In queste cifre è evidente la distorsione, effettuata a favore del potere e dei gruppi di pressione mediatici e finanziari, derivante dal sistema elettorale maggioritario che si è tentato d’introdurre anche in Italia con gli elevati “sbarramenti”, con le liste bloccate e con i collegi strutturati appositamente.

Però, e citiamo sempre il “Corriere della Sera”, questo successo di Macron può essere momentaneo, perché il suo movimento politico è un’accozzaglia di transfughi da altri partiti in cerca di riconferme parlamentari e  “la sua caduta può essere repentina come la sua vittoria”: basta che i suoi burattinai gli taglino i fili che lo reggono…

In realtà il nuovo presidente francese e la sua eterogenea maggioranza parlamentare non comprende il voto popolare, né lo rappresenta adeguatamente. Le forze antisistema di Le Pen e Melenchon restano intatte, e nel paese vi è una rabbia repressa che potrebbe esplodere, ad esempio, con la riforma del lavoro annunciata da Macron che prevede, anche là, lavoro precario istituzionalizzato e licenziamenti facili.

Dalle elezioni francesi derivano quindi considerazioni valide anche per l’Italia: garantire sempre la sovranità elettorale indicata nella Costituzione, tutelare il lavoro ed i suoi diritti, preoccuparsi delle necessità del popolo residente soprattutto nelle borgate e nelle città delle province più di quelle dei residenti nei quartieri “bene” delle metropoli. Sono i “bobo”, come li chiamano in Francia  (borghesi finti bohemiens), i “pariolini”, come li chiamiamo a Roma.