di Claudia Tarantino

Attraverso uno studio sugli effetti dell’impatto della clausola 34% prevista dal Decreto Mezzogiorno, l’Associazione ha dimostrato come “destinare una quota specifica della spesa in conto capitale dello Stato a favore del Sud” abbia effetti positivi non solo sul Pil ma anche sull’occupazione.

Da una valutazione relativa al periodo 2009/2015, la Svimez ha dimostrato che “se negli ultimi sei anni fosse stata attivata la norma contenuta nel Decreto Mezzogiorno, (in base alla quale a partire dal 2018 una quota della spesa ordinaria in conto capitale delle amministrazioni centrali proporzionale alla popolazione sarà destinata alle Regioni meridionali), il Pil del Sud avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata (-5,4% invece che -10,7%) e l’occupazione sarebbe diminuita non di mezzo milione ma di circa 200 mila unità”.

Secondo lo studio dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, quindi, una politica attiva di sviluppo, basata su un aumento di efficienza ed efficacia della spesa pubblica, può correggere la “deriva penalizzante” delle aree più deboli del nostro Paese, oltre ad “ottimizzare l’uso delle risorse destinate agli investimenti pubblici”.

Il modello econometrico realizzato dal Presidente Adriano Giannola e dal ricercatore Stefano Prezioso parte dall’art.7-bis del decreto-legge 29 dicembre 2016, n.243, convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n.18, il quale dispone che “la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto             regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale”. Quest’ultimo valore non è casuale, in quanto è analogo al peso che la popolazione del Meridione ha sull’intero aggregato nazionale.

“In linea generale, – si legge nel documento – lo spostamento di risorse a favore delle regioni del Sud ha un impatto positivo – di entità apprezzabile – sul Mezzogiorno e di segno opposto – ma molto più contenuto – nel Centro-Nord, e assai modesto – ma sempre positivo – a livello nazionale”. Più nel dettaglio, nell’ipotesi in cui tra il 2009 e il 2015 fosse stata attivata la clausola del 34%, il Pil del Sud avrebbe “praticamente dimezzato la perdita accusata dal 2008: -5,4% vs. un calo effettivo del 10,7%, recuperando, sempre in via ipotetica, circa 5,3 punti percentuali di             reddito”.

In termini di occupazione, l’impatto della clausola appare particolarmente consistente: il calo dell’occupazione, “commisuratosi effettivamente in quasi 7 punti percentuali (-6,8%), sarebbe infatti risultato inferiore di 4 punti. I posti di lavoro ‘salvati’ avrebbero sfiorato le 300.000 unità”.

Lo spostamento di risorse dal Centro-Nord al Sud, stante il vincolo di non modificare il totale nazionale, avrebbe comportato nelle regioni più sviluppate una perdita di PIL, nell’intero periodo, di soli 1,3 punti percentuali. Mentre il ‘sacrificio occupazionale’ imposto alle regioni centro-settentrionali, sarebbe risultato nel complesso assai modesto: la caduta occupazionale, sempre rispetto a quella effettiva, sarebbe stata maggiore di soli due decimi di punto percentuale (37.600 occupati persi in più).

Queste “conseguenze asimmetriche”, spiega la Svimez, derivano dalla presenza di alcuni meccanismi economici piuttosto noti che operano a favore delle aree più sviluppate, e tali da mitigarne gli effetti potenzialmente negativi. In sintesi, “nel Sud il tessuto produttivo, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, è assai meno fitto e strutturato di quello del             resto del Paese; fenomeno comunemente sintetizzato nell’assunto che la matrice d’offerta meridionale è comparativamente più incompleta”. Questo implica, secondo i ricercatori, che una “variazione di domanda che si crea nel Mezzogiorno genera una richiesta di input e servizi al resto del Paese in misura significativamente maggiore di quanto avviene nel caso opposto”. In altre parole, “una parte della domanda aggiuntiva che si crea nel Sud in seguito, ad esempio, all’attivazione della clausola è soddisfatta con produzione e occupazione attivata nelle regioni del Centro-Nord (c.d. effetto feed-back)”.

Un altro aspetto significativo che emerge dallo studio Svimez è “l’elevata elasticità dell’economia meridionale agli investimenti pubblici e a quelli in opere pubbliche in particolare”. A differenza di             quanto avviene nel Centro-Nord, ciò si deve all’estrema debolezza dell’economia ‘di mercato’ nel Sud, così che la spesa in conto capitale rappresenta un volano molto potente per far ripartire il Mezzogiorno. “Proprio per questo, – concludono Giannola e Prezioso – ciò rappresenta   un’opportunità molto concreta da cogliere e che deve essere strategicamente orientata ad un rafforzamento e riposizionamento strutturale, essenziale per tutto il Paese”.