di Mario Bozzi Sentieri

Scongiurata l’abolizione con il voto referendario del 4 dicembre, il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) rinasce, con un progetto di autoriforma, formalizzato in ddl e presentato al Governo. Ne siamo ovviamente ben lieti, dopo essere stati tra i pochi a difendere il Consiglio, purtroppo considerato – da sinistra a destra – un  ente inutile.
Vediamo i dettagli della proposta. Sette i punti essenziali. Viene confermato il numero di sessantaquattro consiglieri e tutte le attuali rappresentanze, che siederanno nel Parlamentino; il presidente del Cnel sarà nominato dal Presidente della Repubblica e viene definita una nuova modalità di nomina, più veloce e più trasparente, dei Consiglieri da parte del Governo, “per garantire i criteri del più ampio pluralismo”. La rappresentanza, inoltre, si allarga all’Anci, all’Upi e alla Conferenza delle Regioni (un rappresentante ciascuno).
Per quel che riguarda invece i compiti  del Cnel,  il ddl, oltre a confermare tutte le attuali attribuzioni tra cui i pareri obbligatori, ma non vincolanti, per i maggiori atti di finanza pubblica, dal Def alla nota di aggiornamento fino alla legge di bilancio, assegna al Consiglio nazionale la funzione di certificatore del grado di rappresentatività nazionale delle organizzazioni sindacali nel settore privato. Un ruolo, al momento assegnato all’Inps, di cui il Cnel intende tornare in possesso dopo la parentesi referendaria anche se l’intera partita sulla rappresentanza non è mai decollata. Il nuovo Cnel, infine, secondo quanto prevede ancora il ddl di autoriforma, predisporrà, in tema di misurazione del benessere equo e sostenibile (BES), un rapporto congiunto Cnel-Istat con cadenza annuale.
Fin qui la proposta, che  “ci auguriamo – come ha dichiarato il segretario generale  Paolo Capone  – possa essere al  più presto calendarizzata, soprattutto nel rispetto della volontà popolare espressa il 4 dicembre scorso”.
Proprio per evitare – come è accaduto nel passato – che l’attività  del Cnel venga lasciata ai margini del confronto politico e sociale occorre però tenere ben viva l’attenzione non solo sulla proposta presentata al Governo, quanto anche sulle ragioni di fondo che impongono un convinto rilancio di questo “organo ausiliario” dello Stato.  A cominciare dalle sue radici storiche e costituzionali. Come emerse in sede di dibattito alla Costituente, il Cnel si colloca nel solco della nostra tradizione giuridico-sociale post unitaria, legandosi idealmente, se non manifestatamente, alle esperienze corporativistiche e alla migliore scuola del solidarismo cattolico. A testimoniarlo il dibattito che, in sede di Assemblea Costituente, vide la partecipazione, tra gli altri, di Costantino Mortati, Luigi Einaudi, Giuseppe Di Vittorio.  Un dibattito che andrebbe ripreso e  divulgato.
Il Cnel – non lo diciamo da oggi – ha grandi potenzialità ed è proprio per questo che  va “ripensato” e rilanciato soprattutto in ragione del ruolo che le categorie produttive ed il mondo del volontariato potrebbero svolgere, in una prospettiva autenticamente “ricostruttiva”, con lo sguardo rivolto al “dopo”, alla necessità-opportunità di sperimentare concretamente un modello partecipativo “integrale” ed autentiche forme di inclusione sociale.
Nel momento in cui la crisi della rappresentanza politico-parlamentare  sembra  avere toccato livelli altissimi e il dialogo sociale stenta a ripartire,   uno “strumento” come il Cnel può essere utile al fine di  indicare una possibile via d’uscita, rendendo evidente un nuovo, diverso sistema rappresentativo ed un ruolo più alto e maturo per il Sindacato, non più elemento  esclusivamente di tutela-rivendicazione dei diritti dei lavoratori quanto anche strumento di rappresentanza degli interessi nazionali. Come il Cnel era negli auspici di chi lo ha voluto. Come ci auguriamo possa essere domani, in modo allargato e rinnovato.