Per sradicare il male del caporalato  – e ridare dignità a tanti lavoratori vittime del terribile fenomeno – non bastano i controlli (doverosi) ma, l’applicazione di norme capaci di punire chi commette un simile reato.

Proprio in queste ore è in corso la discussione finale sulla nuova legge contro il caporalato, voluta dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. Dopo l’approvazione al Senato dello scorso agosto (con 190 voti favorevoli, nessun contrario e 32 astenuti) e il ritorno in Commissione, spetta ora a Montecitorio licenziare il testo che prevede il carcere fino a sei anni per chi sfrutta i lavoratori dell’agricoltura. Una battaglia che l’Unione Generale del Lavoro segue con attenzione e grande sensibilità da tempo.
Cosa prevede la Legge:

La responsabilità del datore di lavoro. Il provvedimento riscrive la norma precedente indicando un inasprimento delle pene, la responsabilità del datore di lavoro, il controllo giudiziario sull’azienda che consentirà di non interrompere l’attività agricola e la semplificazione degli indici di sfruttamento. Vengono inoltre inserite disposizioni sulla Rete del lavoro agricolo di qualità e un piano di interventi a sostegno dei lavoratori che svolgono attività stagionale di raccolta dei prodotti agricoli. Si stabiliscono la confisca dei beni come avviene con le organizzazioni criminali mafiose, l’arresto in flagranza, l’estensione della responsabilità degli enti. In Senato è stato introdotto l’allargamento del reato anche attraverso l’eliminazione della violenza come elemento necessario e che rendeva più complessa l’applicazione effettiva della norma.
Le pene. Prevista la pena della reclusione da uno a sei anni per l’intermediario e per il datore di lavoro che sfrutti i lavoratori, approfittando del loro stato di bisogno. Se poi i fatti sono commessi mediante violenza e minaccia, la pena aumenta da cinque a otto anni ed è previsto l’arresto in flagranza. Le nuove norme individuano come indice di sfruttamento “la corresponsione ripetuta di retribuzioni difformi dai contratti collettivi e la violazione delle norme sull’orario di lavoro e sui periodi di riposo”, in pratica salari troppo bassi e straordinari non pagati. Altri parametri presi in considerazione per indicare lo sfruttamento sono le violazioni delle regole per la sicurezza nei luoghi di lavoro, la sottoposizione a metodi di sorveglianza e anche le situazioni in cui i lavoratori sfruttati vengono alloggiati.

Indennizzi per le vittime. Per la prima volta si decide di estendere le finalità del Fondo antitratta anche alle vittime del delitto di caporalato, questo perché le situazioni delle vittime del caporalato e delle vittime della tratta sono ritenute simili e spesso le stesse persone sfruttate nei lavori agricoli sono reclutate usando i mezzi illeciti tipici della tratta di esseri umani (fonte repubblica.it).

Per il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina “l’impegno per l’approvazione della legge è una battaglia che non è solo di civiltà, ma di giustizia”.

La deputata di Forza Italia, Renata Polverini, intervenuta nell’Aula di Montecitorio in merito alla discussione sul ddl Caporalato, ha invece precisato: “Chilometri di strada e di campagna senza incontrare un ispettore del lavoro o dell’Inps. E’ questo quello che ho visto con i miei occhi quando ad agosto ho visitato alcune zone in Puglia interessate al fenomeno del caporalato”.

“Lo sfruttamento del lavoro in agricoltura – ha aggiunto – contrasta con l’immagine del Paese che il presidente del Consiglio tende continuamente a dare. Si sta parlando di un problema così diffuso, da Nord a Sud, che potrebbe essere preso come un modello di unione per tutto il territorio nazionale”.

“Dobbiamo velocemente correggere questa legge – ha detto Polverini – riducendo tutti i margini di incertezza, perché le Forze dell’ordine, gli ispettori del lavoro e la Magistratura possano avere maggiori strumenti di intervento. Inoltre rimango perplessa non solo dalla scarsa incisività della filiera del controllo ma anche dalla rete del lavoro agricolo di qualità, che il ministro Martina ci ha presentato in commissione Lavoro durante la fase referente. Del totale, ossia 180 mila aziende agricole, solo 2000 si sono iscritte a questo network di prevenzione”.

“E’ doveroso – ha ribadito – raggiungere subito l’obiettivo anche per tutti quegli imprenditori che ancora credono nel lavoro onesto e soprattutto per le persone sfruttate nei campi e costrette a vivere in vere e proprie ‘bidonville’ sorte ai margini dei terreni, in particolare concentrate nel Mezzogiorno. Oggi affrontiamo il tema del caporalato in agricoltura ma non possiamo dimenticare cosa accade nell’edilizia, nei servizi, fino ad arrivare alla frontiera degli App-Jobs, ossia il mondo dei piccoli ‘imprenditori’ di se stessi che a fronte di pochi euro erogano alcuni servizi non di prima necessità. Dopo il varo del ddl caporalato volgiamo il nostro sguardo altrove. C’è ancora molto da fare per rendere migliore tutto il contesto dell’impiego in Italia”.

Di rete del lavoro agricolo parla anche Coldiretti che, favorevole al provvedimento, chiede però un intervento normativo urgente “per rompere la catena dello sfruttamento che inizia dal sottopagare i prodotti agricoli pochi centesimi”.
Libera, l’associazione contro le mafie, ha diramato una nota in cui si augura che la nuova legge “proceda velocemente e senza modifiche affinché diventi legge a tutti gli effetti”.