di Vincenzo Fratta

 

Dopo il brutale assassinio della deputata labourista JoCox – assimilata da alcuni ad una vittima «sacrificale» – avvenuto una settimana prima del voto, sondaggi e il «mercato» avevano puntato sulla permanenza della Gran Bretagna nella Ue. Tuttavia, come si è visto, gli inglesi hanno deciso diversamente. Nel referendum del 23 giugno il Leave, l’«andarsene», si è imposto con il 52 per cento contro il 48 per cento del Remain.

Vedremo nelle prossime settimane e mesi quali saranno i contraccolpi economici e politici della Brexit. Nonostante i catastrofici allarmi della vigilia,i media hanno ridimensionato gli effetti economici sull’Italia e sugli altri paesi dell’Unione. Dopo gli inevitabili cali borsistici di questi primi giorni la situazione si dovrebbe infatti assestare, mentre le autorità europee si dichiarano pronte a fronteggiare possibili attacchi speculativi esterni.

Pesanti sono invece le conseguenze previste per il Regno Unito: deprezzamento della sterlina, calo degli investimenti, minore crescita economica, crollo del mercato immobiliare londinese, impennata della disoccupazione. Problemi loro, che poco ci riguardano. Più interessante per noi sarebbe il trasferimento sul Continente della borsa europea di riferimento. Fine del ruolo centrale della City di Londra a vantaggio di Milano, Francoforte o di un’altra piazza borsistica della Ue.

Tuttavia non è sugli aspetti economici che ci vogliamo soffermare in queste note, ma sulla estraneità del Regno Unito all’Europa. A nostro avviso, e avremmo voluto scriverlo prima dell’esito del voto inglese, la Brexit può essere una grande opportunità, a condizione che l’attuale unione burocratico-mercantilisticasi trasformi in una Unione politica su base federale (come lo sono i grandi spazi di Brasile e Stati Uniti), alla quale Londra sarebbe comunque del tutto estranea.

Il Regno Unito non si è mai sentito interamente parte dell’Europa, crede nella sua superiorità di potenza «marittima» rispetto alle nazioni della «terraferma», che storicamente ha sempre cercato di tenere divise e possibilmente in contrasto fra loro. Il suo ruolo all’interno della Ue è sempre stato quello di freno verso una maggiore integrazione del Continente in senso federale.

Ricordiamo come Londra non aderì subito alla nascente Comunità Economica Europea, che cercò di ostacolare con la creazione di un’area di libero scambio insieme ad alcuni Paesi del Nord, e vi approdò soltanto dopo il suo fallimento. Per l’ingresso nella Cee pretese uno Statuto speciale, contenente una serie di «privilegi» rispetto agli altri partner. Nei mesi scorsi, il premier Cameron aveva preteso e ottenuto di incrementare tali privilegi, dietro l’esplicita minaccia di doversi schierare per la Brexit nell’imminente referendum. C’è poi da considerare la «relazione speciale» che intercorre fra gli inglesi e gli Stati Uniti, sottolineata da Obama dopo l’esito referendario, che sono e restano il loro partner privilegiato.

L’estraneità degli Inglesi all’Europa può essere simbolicamente ricompensa in due interventi, diversi per tono e personalità, che hanno caratterizzato la campagna elettorale: un’intervista dell’ex sindaco conservatore di Londra Boris Johnson, leader del fronte della Brexit insieme al presidente dell’Independence Party (Ukip) Nigel Faragee un’uscita conviviale della regina Elisabetta.

Al SundayTelegraph, Johnson aveva detto fuori dai dentiquello che l’élite inglese realmente pensa, ossia cheil proposito della Ue di riunire l’Europa, sia pure con altri mezzi, è lo stesso già fallito in passatoda Napoleone e da Hitler. Dietro il paragone che ha scioccato i media c’è la riconferma che l’isola britannica, oggi come ieri, resta ostile all’affermarsidi qualsivoglia «potenza» continentale. Per far conoscere i suoi pensieri, alla compassata regina britannica è invece bastato chiedere ai suoi commensali di indicarle tre ragioni per le quali il Regno dovrebbe restare in Europa. Naturalmente la reale, retorica, domandaè restata senza risposta. Nessuno, al di là della Manica, avrebbe potuto semplicemente dire: perché ne siamo parte, un’importante e insostituibile parte.

In conclusione di queste considerazioni sulle tematiche aperte dalla scelta del Regno Unito di uscire dall’Europa, segnaliamo i commenti al referendum di due esponenti di quelle lobbies internazionali che si sentono – e agiscono – al di sopra dei popoli europei: gli ex presidenti del Consiglio è della Repubblica Mario Monti Giorgio Napolitano, complici italiani della caduta del Governo Berlusconi nel novembre 2011.

In relazione al referendum britannico Monti ha parlato di «abuso di democrazia», ed espresso il suo apprezzamento perla nostra Costituzione che non prevedela consultazione popolare per la ratifica dei trattati internazionali. Gli ha fatto eco Napolitano che ha definito «incauta» l’indizione della consultazione popolare riaffermando il primato della democrazia parlamentare rispetto ad una democrazia diretta.

Come dire: la volontà popolare, verace e impulsiva, può sfuggire al controllo dei poteri forti rendendo vana la stretta che essi hanno già (im)posto su governi e parlamenti eletti.