Di Francesco Paolo Capone, segretario generale Ugl

La storia la conosciamo bene tutti. Noi dell’UGL  più di altri visto che l’argomento ci sta da sempre molto a cuore ed è stato da sempre una nostra priorità. Da quando ci chiamavamo CISNAL. Molte proposte di legge, antiche e recenti, hanno del resto  il nostro timbro.
Una norma costituzionale, una norma concepita dai costituenti come un cardine del nostro modello di relazioni industriali alla pari degli articoli 39 e 40, è rimasta chiusa nel cassetto da quando è nata la Costituzione. Ci riferiamo, come è facile intuire, all’articolo 46 che introduce  il diritto dei lavoratori a  collaborare nella gestione delle aziende come strumento di  elevazione economica e sociale.
Certo non è l’unica norma rimasta inattuata. Si sente dire molto spesso che la nostra è la migliore Costituzione del mondo ma dopo settant’anni è disattesa in parecchie sue parti, che riguardano quasi tutte (guarda caso)  il mondo del lavoro. Ma l’articolo 46 è certamente il più inattuato di tutti tanto da far dire in passato a Tiziano Treu che si trattava della “norma più debole e più vuota del modello costituzionale”.
Per decenni l’alleanza perversa tra buona parte del sindacalismo e  tutto il mondo imprenditoriale (tranne poche eccezioni, come Adriano Olivetti e Pietro Bassetti) ha spinto per mettere nel dimenticatoio e per soffocare questa che poteva essere una conquista importante per i lavoratori italiani e per il sistema produttivo ed economico. Quando nel primo dopoguerra si discuteva della opportunità o meno di fare una legge di attuazione della norma costituzionale l’intervento della Confindustria fu violento: “L’istituto della partecipazione comprometterebbe irrimediabilmente l’efficienza della nostra economia…l’imprenditore è proteso verso l’avvenire, il lavoratore è preoccupato solo per l’oggi…dirigere un’azienda richiede prestigio e autorità non compatibili con il controllo da parte di subordinati”. Così come era tranchant e senza appello il no  della CGIL che vedeva nella cogestione il veicolo per indebolire la lotta di classe e impedire le conquiste dei lavoratori.
Sono passati molti anni e il vento per fortuna sta cambiando. Però, a rileggere oggi certe dichiarazioni di allora balza evidente la grande miopia e l’incapacità di vedere lontano da parte di certe elites che hanno avuto, immeritatamente, in mano i destini del nostro Paese .
Negli stessi anni in Germania veniva introdotta la Mitbestimmung, cioè quel sistema di cogestione che ha portato i lavoratori all’interno della stanza dei bottoni delle aziende in quote paritarie ed ha dato inizio ad un clima di collaborazione positivo tra capitale e lavoro. Secondo la maggioranza degli esperti proprio questo modello partecipativo di relazioni industriali ha consentito ai tedeschi, usciti dalla seconda guerra mondiale con un sistema produttivo totalmente distrutto, di rialzarsi e di creare una economia forte. Del resto è ormai fuori discussione che le aziende cogestite hanno una competitività maggiore delle altre. In una recente indagine scientifica sono stati confrontati  gruppi omogenei di Paesi : quelli che hanno un sistema di diritti di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende e quelli, come l’Italia, che non ce l’hanno . Il risultato è stato chiarissimo e inequivocabile : il gruppo di Stati dove esistono forme di cogestione ha una economia molto più performante degli altri.
Come dicevamo, per fortuna da una quindicina d’anni a questa parte il vento sta cambiando.  Forse le ragioni di questo risveglio si possono individuare da un lato nella influenza dell’Europa dall’altro nella crisi scatenatasi in Occidente dal 2008.
Agli inizi degli anni 2000 l’Unione Europea ha cominciato ad adottare direttive che andavano tutte nella direzione di introdurre forme di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende. Sulla scia di queste iniziative di matrice europea c’è stato un risveglio sia dell’interesse sindacale e scientifico sia del Parlamento. Sono molti  infatti i progetti di legge in materia presentati da ogni orientamento politico.
Indubbiamente anche la crisi finanziaria ed economica ha avuto ed ha un suo ruolo. Fra le sfide da essa generate sembra esservi la necessità di un ripensamento del modello di relazioni industriali conflittuale e del ruolo puramente rivendicativo del sindacato. Sta di fatto che proprio in concomitanza con la grande crisi finanziaria ha fatto irruzione nel dibattito politico e sindacale la partecipazione. Si sta facendo strada il convincimento che possa diventare uno strumento decisivo per uscire dalla fase recessiva e per ricostruire il sistema competitivo italiano.
Se così stanno le cose, se la introduzione di validi modelli partecipativi può rappresentare non solo una doverosa attuazione di una fondamentale norma costituzionale ma anche uno strumento efficace per contribuire ad avviare l’uscita del nostro Paese dalla recessione e dalla crisi, allora non possiamo che rivolgere un pressante invito al legislatore affinchè non si perda altro tempo prezioso e si vari finalmente una legge sulla partecipazione. Meglio tardi che mai…