di Marco Colonna

 

Al netto dell’enfasi del premier Renzi che, forte delle ultime statistiche Istat,  ci dice che le cose stanno migliorando, l’Italia , in realtà, continua a navigare nei piani bassi della classifica europea sull’  occupazione.
Tra i 28 paesi dell’Unione, infatti,  il nostro Paese presenta un tasso di occupazione di persone  in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni pari 56,3 per  cento , solo  Croazia (55,8 per cento) e  Grecia (50,8%) fanno peggio. In Italia la platea degli occupati registra un gap di 17,7 punti percentuali con la Germania, di 16,4 punti con il Regno Unito e di 7,9 punti con la Francia.

Se dal confronto con il tasso di occupazione medio dell’Unione europea il nostro paese sconta un differenziale di 9,3 punti percentuali, nel tasso di occupazione femminile (pari in Italia al 47,2 per cento) lo scarto con la media Ue sale di  13,2 punti, mentre in quello giovanile (attestatosi nel 2015 al 15,6 per cento), sfiora quasi il 20% (il 17,5%).

A livello territoriale – nota la Cgia di Mestre , che ha elaborato uno studio apposito –  è il Mezzogiorno a presentare le maggiori difficoltà sul fronte del lavoro.
E quasi tutte le regioni registrano un tasso di occupazione inferiore addirittura a quello greco: la Sardegna, ad esempio, presenta 0,7 punti percentuali in meno rispetto al dato medio di Atene, il Molise 1,4, la Basilicata 1,6, la Puglia 7,5, la Sicilia 10,8, la Campania 11,2 e la Calabria 11,9.

All’opposto, in vetta alla classifica del tasso di occupazione (pur con cifre in calo nel periodo 2008-2015) le regioni del Nord: Trentino Alto Adige ,  Emilia-Romagna , Valle d’Aosta e Lombardia .

Per avere un’idea del problema: nell’UE 28 il tasso di disoccupazione giovanile nel secondo trimestre del 2013 era del 24 %, rispetto al 15 % del 2008.
Inoltre, la crisi ha portato a un ricorso più frequente ai contratti di lavoro a tempo determinato. E in Italia la loro quota è passata dal 60 % circa nel 2008 al  70 % nel 2012-2013.

E come l’azione degli ultimi governi  si sia rivelata inefficace sul versante della creazione di un lavoro stabile per tutti lo dimostra l’l’ultimo studio dell’Istituto Demoskopika che dimostra come gli sgravi e i bonus  per la nuova occupazione, garantiti dai 3,5 miliardi sottratti un anno fa dal governo Renzi alle regioni meridionali in fase di riprogrammazione finanziaria dei fondi Ue per   finanziare lo spot elettorale del Jobs Act , siano stati utilizzati al 69% nelle aree del Centro e del Settentrione e solo al 31% nel Mezzogiorno.
Una sottrazione di capitali che ha convinto alcune regioni meridionali  ad impugnare il provvedimento  dinanzi alla Corte Costituzionale.
Una situazione di confluttualità perenne alimentata anche dalle considerazioni degli analisti:  i dati Istat sul mercato del lavoro creano  falsi segnali di ottimismo non tenendo conto della crescita costante degli inattivi, cioè degli scoraggiati che non hanno un impiego e hanno smesso di cercarlo, soprattutto tra i giovani.

In termini assoluti dall’inizio della crisi (2008) al 2015 l’Italia ha perso 625.600 posti di lavoro, anche se tra il 2014 e il 2015 siamo riusciti a recuperarne circa 186.000. Calabria (- 11,9 per cento), Molise (-9,7 per cento), Sicilia (-8,5 per cento) e Puglia (-8,4%) sono le regioni dove la contrazione in termini percentuali del numero degli occupati è stata la più preoccupante in questi 8 anni.

In Italia i disoccupati sono circa 3 milioni, gli inattivi 14 milioni e le unità di lavoro standard in nero (ovvero i lavoratori non dichiarati) sono poco più di 3,1 milioni di unità. Quest’ultima categoria è composta da dopolavoristi, da pensionati, da disoccupati, da cassaintegrati e da una buona parte di persone che non ha un posto di lavoro e ha deciso di non cercare più un’occupazione regolare.

La piaga del lavoro nero è molto diffusa al Sud . La situazione più grave si presenta in Calabria (22,9 per cento), in Campania (21,4 per cento) e in Sicilia (20 per cento), ovvero: cifre doppie rispetto alla media nazionale che si attesta al 12,8%.