“Italia, lavoro, partecipazione”.
Nel corso del suo intervento in conclusione  della manifestazione del Primo Maggio a Roma, che si è tenuta di  fronte al Palazzo della Civiltà del Lavoro, il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, ha voluto spiegare alla piazza gremita di lavoratori il perché della scelta di queste tre parole nello slogan dell’evento. Foto E Zanini159
“’Italia’ è il primo concetto che abbiamo voluto richiamare perché siamo preoccupati per il nostro Paese – ha spiegato il sindacalista -: nonostante la trionfalistica narrativa renziana, nessun indicatore lascia speranze, mettendoci di fronte a una realtà dei fatti molto negativa. In particolare al Sud, gli indicatori sono disastrosi: la disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno è al 50 per cento; la risposta del premier è stata l’elaborazione di un Masterplan che non è altro che l’elenco della spesa delle otto regioni del Sud”.
“Lo scorso autunno, con il ciclo di convegni Sudact, che ha toccato tutti i territori meridionali e ha fatto anche tappa a Tunisi –ha proseguito Capone – abbiamo elaborato un pacchetto organico di otto proposte su cui intavolare un confronto con il Governo: si spazia dalla green economy al corretto utilizzo dei Fondi europei, dalla valorizzazione delle nostre eccellenze alimentari e paesaggistiche al potenziamento delle infrastrutture. Recentemente abbiamo fatto partire la seconda edizione del Sudact, perché siamo convinti che l’Italia ripartirà soltanto quando verrà colmato il gap tra Nord e Sud”.Foto E Zanini170“La seconda parola che abbiamo scelto – ha aggiunto – è lavoro, perché si assiste a una sua drammatica carenza. La tenuta del nostro sistema sociale regge su una forma di ammortizzatore molto peculiare, ovvero la famiglia e la solidarietà”.
Capone ha poi continuato spiegando che “il nostro slogan si chiude con una parola per noi cruciale: partecipazione, che è nel nostro dna ed è stata inserita tra gli obiettivi del nostro primo Statuto dell’Ugl 1950. Siamo convinti che con una buona contrattazione di secondo livello, una discussione condivisa degli obiettivi con le aziende e la divisione di eventuali utili aumenteremmo la nostra capacità produttiva e saremmo più attrattivi sui mercati. Al contrario con il Jobs Act non si creano posti di lavoro,  altra parola chiave, si tagliano soltanto diritti. Il grande bluff del Jobs Act sta nel fatto che presentava sgravi fiscali appetibili per le nuove assunzioni: una volta che queste agevolazioni sono diminuite, è calato drasticamente anche il dato relativo alla nuova occupazione”.Foto E Zanini209
Il segretario generale si è poi concentrato sul luogo in cui l’Ugl ha deciso di celebrare il Primo Maggio: “questa piazza è particolare ed evocativa, perché rappresenta un popolo di coraggiosi: lavoratori, pensionati, persone senza un’occupazione, giovani, adulti e anziani che hanno trovato la voglia e la forza di ritrovarsi  insieme per celebrare l’importanza del lavoro. Alle spalle del palco da cui parlo c’è il Palazzo della Civiltà del Lavoro a ricordarlo. A poche centinaia di metri da qua c’è la sede nazion
ale di Confindustria, altro posto significativo perché recentemente l’associazione degli industriali ha chiesto una modifica della contrattualistica. Per parte nostra siamo convinti che non si possano effettuare ‘spending review’ soltanto intervenendo negativamente sulle buste paga dei lavoratori”.
“Qua vicino – ha aggiunto – si trova anche Piazza caduti sul lavoro: un altro riferimento a un concetto molto importante. Siamo un Paese in cui in media tre persone al  giorno escono per andare a svolgere la propria attività e non tornano più: si deve fare il possibile per aumentare le tutele”.
Infine, un riferimento al Governo Renzi, che “che ha chiuso al dialogo sociale e ha tagliato spazi di democrazia, come il Senato, le Province e il Cnel, il luogo dove produzione e lavoro si incontrano. Renzi è il terzo Presidente del Consiglio che non si è sottoposto a un confronto elettorale e siamo preoccupati per una deriva autoritaria: con il Jobs Act è stata perpetrata un’allarmante deriva autoritaria che ha cancellato l’articolo 18 rendendo la vita molto più complicata ai lavoratori”.