Risultati_SuperTuesday_lametasocialedi Barbara Faccenda

Un’altra tappa verso la nomination dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti, il Super Tuesday (per saperne di più http://www.barbarafaccenda.it/supertuesday-chi-e-costui/) si è svolta rivelando quello che in fondo già si sapeva dai precedenti caucus e primarie: Trump continua a guadagnare il supporto di molti repubblicani e la Clinton riesce a tenergli testa. Chi però, ne esce con le ossa rotte è Bernie Sanders. Per mesi la campagna presidenziale di Bernie Sanders ha contato su una grande prestazione nel Super Tuesday. Nei cinque stati del sud, dove il voto degli afro- americani conta per una larga porzione dell’elettorato, Hillary Clinton ha lasciato Sanders nella polvere. Ha perso con un grande margine in Alabama, Georgia, Tennessee, Virginia e Arkansas. In Texas erano in palio 252 delegati, ha perso per più di 30 punti. La perdita nel Massachussetts e l’enorme margine nel sud lo portano indietro nel conteggio dei delegati.
La via della mappa delle primarie è disegnata: i migliori stati della Clinton sono fondamentalmente gli stati del sud, che avranno votato tutti per la metà di marzo. Dopo il Kansas, il Nebraska e la Louisiana che voteranno sabato, ci sarà un lungo fine settimana in cui 980 delegati saranno assegnati nel Maine, Michigan, Mississippi, Florida, Illinois, Missouri, North Carolina e Ohio. La Clinton è la favorita in quasi tutti questi stati.
Secondo la Clinton le posizioni di Trump sono estreme abbastanza per galvanizzare la base del partito, ma gioca per la maggior parte secondo le regole e la Clinton può contrastare il suo comportamento. “Invece di costruire muri, noi romperemo le barriere”, ha detto ieri notte la Clinton. Gli strateghi democratici consigliano l’ex segretario di stato di raddoppiare il messaggio delle elezioni presidenziali per ricordare agli elettori che ci sono grandi interessi in palio e in questo Donald Trump potrebbe essere un grande regalo.
Trump ha sconfitto Cruz in Arkansas, Alabama, Georgia e Tennessee, si è aggiudicato anche Virginia, Vermont, Massachussets.
Il partito repubblicano barcolla, ma per ora non molla.
Il pensiero di una presidenza Trump allarma sia i conservatori che i liberali. Il movimento che è comparso con l’hastagNever Trump (#NeverTrump) è improbabile che riesca a portare abbastanza liberali dalla parte di Rubio, che è seriamente in svantaggio nel conto dei delegati.
La battaglia nelle primarie tra il presidente Jimmy Carter ed il senatore Ted Kennedy nel 1980 è stata più aspra ma non ha squarciato il partito. Se Trump vincesse, i repubblicani dovranno decidere se sottomettersi al suo volere, cioè accettare la sua demagogia, intolleranza, sbruffonaggine oppure fuggire.
Ted Cruz si è piazzato prima nel suo stato il Texas e in Oklahoma e Rubio non ha raggiunto la vittoria nello stato chiave della Virginia. Questi risultati intensificheranno la “guerra civile” che Trump ha diffuso nel GOP. Trump, l’auto proclamato rivoluzionario del 2016, sta lacerando il suo partito e separando il movimento conservatore. Ha scatenato una crisi delle basi fondanti il partito repubblicano e dei loro compagni conservatori. Il partito repubblicano è quello che ha cura dell’inclusione, o quello arrabbiato dei cambiamenti culturali e demografici che ci sono negli Stati Uniti? La risposta è la chiave della sua identità. Dopo l’ultima elezione presidenziale, il comitato nazionale repubblicano, presieduto da ReincePriebus dopo un attento esame concluse che il partito aveva bisogno di essere più accogliente con le persone di colore, le donne e anche degli omosessuali. Piùtollerante. I sostenitori di Donald Trump sono diventati impazienti con l’ostruzionismo del GOP sulla riforma dell’immigrazione e la sua politica del rischio calcolato sul budget e su questioni di debito. Un sondaggio nazionale diffuso giorni prima del Super Tuesday rivela che il 49% dei repubblicani è dalla parte dell’impertinente uomo d’affari, del pestatore di immigranti, della messa al bando dei mussulmani, che deride l’establishment repubblicano, che parla del suo supporto alla pianificazione delle nascite mentre proclama la sua opposizione al diritto di aborto. Allora viene da chiedersi se il GOP sia il partito di Trump. L’élite repubblicana dice chiaramente di no, almeno a questo punto. Ma ci sono fratture: il senatore Jeff Sessions dell’Alabama ha appoggiato Trump in una manifestazione domenica scorsa. Dal Texas, Dan Patrick, un sostenitore di Cruz, ha dichiarato che se Trump dovesse essere il portavoce standard del GOP, tiferebbe per lui perché ogni repubblicano dovrebbe unirsi per battere la Clinton. Un gruppo di altri repubblicani eletti si è unito alla crociata di Trump. Il livello di attacchi contro Trump all’interno del partito è estremo per una gara delle primarie e questo renderà più difficile per altri repubblicani raggiungere un accordo se Trump (e speriamo sia solo un se) vincesse.