indexAlla fine di gennaio la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo contrattuale è del 62,6% nel totale dell’economia e del 51,7% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è in media di 35,9 mesi per l’insieme dei settori e di 15 mesi per quelli del settore privato. Lo scorso gennaio, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è rimasto invariato rispetto al mese precedente ed è aumentato dello 0,7% su gennaio 2015, la crescita più bassa mai registrata in oltre trent’anni di serie storiche, iniziate nel 1983. Questa la fotografia scattata oggi dall’Istat dove, secondo il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, ritroviamo “la più ovvia e meno gradita, da imprese e governi, causa della deflazione registrata recentemente anche nelle grandi città italiane, nei carrelli della spesa, che si riflette sulla stagnazione economica italiana e quindi sulla scarsa crescita”.
Secondo il sindacalista “di una enorme quota, oltre 8,1 milioni, di lavoratori dipendenti, di cui 2,9 nel pubblico impiego, in attesa di rinnovo del contratto di lavoro. Una quota in termini percentuali, a gennaio 2016, pari al 62,6 dell’intera economia, per giunta in aumento rispetto al mese precedente (39,1%). La resistenza tutta italiana a rinnovare i contratti di lavoro da parte delle imprese tanto quanto dello Stato è un fenomeno ormai cronico e sottovalutato. Si tratta infatti di persone che rappresentano il cuore di quella parte di italiani vessata dalle tasse, dal taglio dei servizi e dell’assistenza, dall’aumento delle tariffe, che ha subito sacrifici da quasi venti anni a questa parte in nome dell’equilibrio dei conti pubblici”.
Secondo l’Istat i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 37,4% dei lavoratori dipendenti e corrispondono al 35,5% del monte retributivo osservato. Sempre a gennaio, ma con riferimento ai principali macrosettori, le retribuzioni orarie hanno registrato un incremento tendenziale dell’1% per i dipendenti privati e una variazione nulla per quelli della Pa. I settori che a gennaio presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,5%); commercio, energia elettrica e gas (entrambi 1,9%) e agricoltura (1,8%). Si registrano variazioni nulle nei settori del credito e assicurazioni, delle telecomunicazioni, della metalmeccanica e in tutti i comparti della PA. “Purtroppo la stasi dei mercati interni rischia di diventare cronica – ha concluso Capone – perché l’impoverimento delle persone che vivono con reddito da lavoro e da pensione, fenomeno che sta interessando l’Italia e l’Europa, non è materia di discussione in nessun consesso internazionale. Né al G20 di oggi, dove Lagarde chiede sempre più riforme mentre Schauble si oppone ad un piano di stimoli fiscali, né al centro del viaggio odierno del presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, in Italia”.