di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Nel giorno in cui si avvia il Consiglio europeo e si commenta la risposta italiana alla Ue con la richiesta di cambiarne le regole, bilanciando l’esigenza di stabilità con la necessità di innescare la crescita – «in gioco c’è la coesione sociale ed economica degli Stati» dice Conte – ricordiamo che alla base di questa richiesta c’è un dato di fatto: in Italia, e in tutta Europa, c’è un’importante “questione sociale”. Nel nostro Paese vivono cinque milioni di persone che versano in condizioni di povertà assoluta, una cifra impressionante. Per questo servono riforme strutturali volte a contrastare questa situazione. Le due strade maestre per combattere la povertà sono welfare e lavoro. Sul piano del welfare, l’introduzione del reddito di cittadinanza da parte del governo è stato un primo passo positivo. Una misura che deve ancora entrare a pieno regime e che andrà perfezionata, ma che comunque va nella giusta direzione. E che però non basta, come dimostrano i dati Istat: sebbene la quota di persone in povertà assoluta si sia finalmente arrestata, dopo tre anni in cui era costantemente cresciuta, resta comunque altissima. Con il consueto gap fra Centro Nord e Mezzogiorno, dove la percentuale di poveri è attorno al 10% della popolazione mentre al Centro Nord oscilla fra il 5 e il 6%. Le misure da prendere, fermo restando il RdC, sono diverse e vanno oltre la semplice, seppure fondamentale, erogazione di sussidi economici volti ad aiutare chi è in difficoltà. È necessario mantenere e rendere efficiente ed efficace l’intero impianto di welfare pubblico, istruzione, sanità, assistenza, alla base del nostro modello sociale di sviluppo, da valorizzare rafforzando il coordinamento degli interventi per garantire, su tutto il territorio nazionale, i livelli essenziali delle prestazioni. Accanto a ciò, è interessante la prospettiva, che è in crescita nel Paese e va sostenuta, di inserire forme di welfare complementare a livello aziendale. Un modello finora riservato essenzialmente alle grandi imprese, ma che andrebbe implementato creando reti fra le aziende più piccole – più numerose – e in questo senso ricordiamo la nostra proposta del contratto di comunità, che tenderebbe a coinvolgere anche gli Enti locali, del resto depositari di molte materie relative al welfare, e il Terzo Settore. Dal punto di vista del lavoro, già l’introduzione di quota 100 ha lo scopo di generare turnover, ma l’occupazione può aumentare, diffondendo benessere, solo mediante le necessarie riforme fiscali, la proposta della flat tax ha questo scopo, accanto agli investimenti in infrastrutture, entrambi indispensabili per innescare la crescita, con conseguenze positive anche sul debito. Si tratta di un disegno complesso, ma coerente, che guarda al futuro e che meriterebbe il sostegno di un’Europa più aperta al dialogo e finalmente più lungimirante.