di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ci ha lasciato un grande maestro, Franco Zeffirelli, regista cinematografico e teatrale, noto in tutto il mondo per le sue pellicole, assurte a veri e propri classici del cinema. È innegabile, infatti, che il suo gusto estetico, la sua fedeltà ai capolavori della letteratura ai quali aveva dedicato i suoi lavori o anche il rispetto delle fonti nel caso delle opere a tema religioso, hanno fatto sì che nell’immaginario collettivo i volti di Amleto, Giulietta e Romeo, Jane Eyre, per dirne alcuni, coincidano con quelli degli attori da lui scelti per interpretarli nei suoi film. Così come, perfino, quelli di San Francesco e Gesù di Nazareth. Altre opere sugli stessi argomenti, seppure a volte mirabili, restano semplici rivisitazioni cinematografiche di storie che ormai fanno parte della nostra identità, quelle di Zeffirelli, invece, meravigliano per essere vere e proprie trasposizioni sulla pellicola di immagini già presenti nelle menti di ognuno, talmente fedeli da essere insuperabili. Pensiamo che all’origine di tutto ciò ci sia il grande amore e il rispetto del regista fiorentino per l’arte, la cultura e l’identità italiana ed europea, di cui è stato un grande interprete e ambasciatore nel mondo contemporaneo e nell’era delle immagini. Un artista spesso proprio per questo osteggiato dal mainstream, nonostante le evidenti ed unanimemente riconosciute doti artistiche ed il grande successo internazionale. Non amava le riletture forzate, il modernismo a tutti i costi, le interpretazioni tanto libere quanto opinabili, spesso, se non sempre, orientate a senso unico verso una determinata visione sociale e politica. Insomma per alcuni aveva un difetto imperdonabile: non appartenere al coro monocorde della “cultura di sinistra”. Era cattolico e di destra, fu anche eletto senatore per Forza Italia, per di più da omosessuale dichiarato, ma lontanissimo da quel mondo LGBT militante di cui non condivideva alcune battaglie, ma soprattutto uno stile tanto diverso dal suo. Colto, raffinato, elegante. Un esponente di primo piano di quella cultura alternativa che, nonostante il luogo comune dipinga la destra come becera e rozza, esiste – eccome – eppure viene ostracizzata in ogni modo. Raccontava Zeffirelli che, negli anni Settanta, mentre in tutto il mondo veniva ammirato per i suoi film, in Italia venne cacciato dall’Associazione dei cineasti con l’appellativo di “fascista”. Per il suo culto della bellezza, per il rispetto della tradizione artistica e culturale italiana ed europea, per la ricerca spirituale. In un’intervista di qualche anno fa diceva che per lui essere di destra «non vuole dire stare con i padroni. Il mio credo è: fa il tuo lavoro, sii generoso con chi ha avuto meno fortuna, riconosci ed esalta il merito altrui». Un saluto da queste pagine al grande regista scomparso.