Le “famiglie” politiche che andranno a comporre il nuovo Parlamento europeo si stanno formando ma non esattamente in ordine del tutto coerente con l’emergere dell’ondata sovranista o populista. Le forze europeiste, che amano definirsi democratiche – solo loro “ovviamente” possono esserlo –, stanno al momento esalando un sospiro di sollievo alla notizia che il nostro vice premier, Matteo Salvini, non stia riuscendo a unire in un unico movimento europeo le varie formazioni sovraniste che o hanno vinto o sono cresciute nei rispettivi Stati dell’Unione. Se oggi cantano vittoria, come hanno fatto all’apertura delle urne all’indomani del 26 maggio scorso, sostenendo che l’onda sovranista è stata frenata dal baluardo dal Ppe, in cui si trova e intende restare Orbán, e dai Socialdemocratici, vuol dire che in realtà qualche paura invece ce l’hanno, visto che qualcuno è ancora intento a sistemare i cocci rotti in casa propria. Paura delle conseguenze che il cambiamento chiesto dai popoli europei, impoveriti dopo più di un decennio di crisi, potrebbe generare. Hanno paura tanto quanto ha dichiarato e scritto di averne oggi su La Stampa Jean Luis Cebriàn, giornalista e saggista spagnolo, quando ha sottolineato come sia «particolarmente preoccupante quello che è successo in due Paesi centrali, fondatori del Trattato di Roma, come la Francia e l’Italia» ovvero la vittoria del Rassemblement National e quella in larga misura della Lega.
Dunque c’è poco da scherzare e se Paesi come Polonia e Ungheria o invece più rappresentativi come il Regno Unito non intendono seguire Salvini nel suo disegno di unire movimenti che intendono cambiare l’Europa, quello che resta e che può ancora crescere, a causa di pagelle e giudizi ispirati al più cieco e assoluto rigore sui conti pubblici, è la spinta della montante insoddisfazione e della richiesta di nuove risposte che viene dal “basso”, a preoccupare gli europeisti ma anche qualche sovranista, intento forse a non annacquare la propria identità nazionale in una famiglia nuova e tutta da verificare nella sua capacità di incidere sulle scelte del Parlamento o di ritagliarsi un ruolo. O a evitare le piccate reazioni della Commissione Ue che può minacciare procedure non proprio “amiche”.
Però, come ha fatto notare qualche giorno fa l’ex ideologo di Donald Trump, Steve Bannon: «Non credo che vedrete i partiti populisti unirsi sotto un’unica bandiera soprattutto per una questione relativa alla politica interna al Regno Unito. Credo che i partiti voteranno allo stesso modo sugli argomenti chiave, ma non credo che formeranno un partito unico». «Marciare divisi, colpire uniti», diceva “un certo” Mao Tse-Tung.