di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La giornata di ieri è stata dominata da due notizie importanti per il governo gialloblu e in qualche modo complementari: da un lato il vicepremier Di Maio è stato confermato capo politico del Movimento 5 Stelle dal voto su Rousseau con l’80% a suo favore, dall’altro lato il vicepremier Salvini ha definito in un batter d’occhio la vicenda Rixi, con il sottosegretario che ha rassegnato le dimissioni dopo una condanna. Si tratta di due situazioni completamente differenti e fin quasi opposte, ma da un certo punto di vista convergenti. La prima infatti nasce da una sconfitta, la seconda invece sull’onda di una vittoria. La prima mostra una leadership indebolita, la seconda rafforzata. La votazione su Rousseau mostra tutti i limiti della piattaforma di democrazia diretta grillina: pochi partecipanti, procedure di iscrizione non sufficientemente verificabili, risultati spesso, se non sempre, scontati. Ed anche un eccessivo entusiasmo da parte dello stesso Di Maio nel commentare l’esito, che certo non basta a risolvere la crisi del Movimento scaturita dal risultato deludente delle europee. Occorrerà ben altro sia dal punto di vista organizzativo, sia da quello ancor più importante della ridefinizione di una precisa identità politica per rianimare la compagine pentastellata. Sul fronte leghista, invece, dopo il successo elettorale, si continuano a collezionare vittorie: il partito è coeso, le proposte chiare e coerenti, la guida salda. La scelta di Salvini di evitare uno scontro sul caso Rixi e di accettarne le dimissioni a seguito della condanna in primo grado per peculato ha avuto il triplice effetto di disinnescare una potenziale arma di propaganda nelle mani sia dell’alleato di governo che dell’opposizione, di tendere una mano a Di Maio, che sembra essere fra i più convinti sostenitori dell’alleanza con la Lega all’interno dell’M5S, proprio nel giorno della votazione, e di accrescere l’autorevolezza di Salvini nell’esecutivo. Eppure, nonostante tante e tali differenze nelle due principali vicende politiche accadute nella giornata di ieri, entrambe hanno come risultato quello di puntellare il governo e di scongiurare la crisi che sarebbe potuta esplodere a seguito del ribaltamento del peso politico dei due partiti della compagine di maggioranza. Insomma, i vicepremier – tanto diversi e per tante ragioni – sembrano ancora “marciare divisi per colpire uniti”. La crisi è solo rimandata, dice la maggior parte dei commentatori, come del resto ormai da un anno esatto si proclama a ogni piè sospinto. Restano questioni tutt’altro che secondarie da definire, dalla flat tax alla Tav, e forse anche qualche ruolo da rivedere all’interno del Consiglio dei Ministri. Ma sta di fatto che per il momento il governo gialloblu tiene e forse questo momento potrebbe durare anche più del previsto.