di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ci troviamo ad un bivio significativo dal punto di vista economico e politico. Ieri è stato il giorno della “letterina” con la quale Bruxelles, o meglio la Commissione uscente, ha dichiarato che “l’Italia nel 2018 non ha fatto progressi sufficienti per rispettare il criterio del debito”. Un messaggio molto meno apocalittico rispetto a come viene descritto da alcuni commentatori, per due ragioni. La prima è la prossima scadenza della Commissione stessa. Il titolare degli affari economici, Pierre Moscovici, l’ha chiarito: ci sarà uno scambio di vedute, un elenco di suggerimenti e raccomandazioni, ma non certo sanzioni da un organo in via di sostituzione. La seconda ragione sta nel fatto che questo non sarà un semplice “cambio della guardia” in Commissione: i nuovi membri dell’esecutivo europeo dovranno necessariamente rispecchiare la volontà popolare emersa dalle urne e se l’establishment socialista e popolare ha ancora un peso rilevante, è altrettanto vero che il fronte sovranista ha assunto una forza tale da non poter essere marginalizzato, pena, fra l’altro, un’ulteriore perdita di consensi e credibilità delle istituzioni europee. Il bivio riguarda l’atteggiamento da tenere in sede di confronto con la Ue e non solo. Il “governo del cambiamento” si è dichiarato tale a causa della volontà di compiere un’inversione di rotta rispetto ai precedenti su alcune questioni importanti. Fra queste una delle maggiori è la teoria economica da attuare. L’idea, già manifestata con la scorsa legge di bilancio, è stata quella di contrapporre al lento declino fondato sull’austerity, qualcosa di totalmente opposto: uno shock economico per innescare la ripresa. Da realizzare anche mediante una radicale riforma del fisco. In sintesi: se con la politica del far tirare la cinghia alle «classi subalterne», per citare il sempre gradevole Gad Lerner, non solo si è impoverita la popolazione, ma si è anche aumentato il debito senza porre le condizioni per la ripresa, sarebbe forse il caso di cambiare strategia, rimettendo in circolo, mediante misure espansive destinate alle piccole imprese, liquidità e quindi possibilità di investire e, soprattutto, assumere. Ecco il senso di una misura come la pace fiscale non per i grandi evasori, ma per i piccoli che hanno dichiarato tutto e poi non sono riusciti a pagare a causa di difficoltà economiche, misura oltre che socialmente giusta anche finalizzata, e non è poco, a fare cassa. Ed ecco il senso della flat tax, ovvero far pagare meno, rimodulando una pressione fiscale oppressiva e scoraggiante, ma a tutti. Si tratta di scelte sicuramente ardite, ma che possono rivelarsi efficaci. È necessario, però, portarle convintamente fino in fondo in sede di trattativa con Bruxelles e per questo è necessario che l’Italia sia rappresentata in modo coeso, per non vanificare gli sforzi fatti finora.