di Francesco Paolo Capone

Segretario Generale Ugl

Oggi sono usciti i dati aggiornati sulla povertà in Italia. La situazione fotografata dall’Istat, nel suo “Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”, sebbene mostri un lieve miglioramento rispetto all’anno precedente, continua ad essere preoccupante dato l’alto numero di persone in povertà assoluta, più di cinque milioni, e a rischio, oltre 17. Diffuso, tra l’altro, anche il fenomeno dei cosiddetti “working poors” ossia di coloro che, pur essendo occupati, restano imprigionati in una condizione di difficoltà economica. Accanto a questi dati ce ne sono altri, ovvero quelli relativi alle richieste per il reddito di cittadinanza finora pervenute all’Inps, 806mila – non a titolo individuale, ma per nucleo familiare – che non sono corrispondenti al totale delle famiglie in stato di povertà, che sono circa 1 milione e 800mila. Nel complesso sono arrivate molte domande in meno rispetto a quelle previste, un terzo di quelle che si pensava sarebbero state presentate. Tanto da far avanzare un “tesoretto” di fondi stanziati per finanziare le card che invece non sono state richieste. Cosa succede? Davvero, come scrive oggi Il Foglio, la “povertà è stata sopravvalutata”? Abbiamo superato improvvisamente la crisi economica e occupazionale senza esserne stati prontamente avvisati? No, purtroppo non è così. Siamo piuttosto imbrigliati in una situazione tutt’altro che facile da districare. Da un lato ragioni economiche hanno determinato condizioni molto strette per accedere alla misura, ivi compresi adempimenti burocratici piuttosto farraginosi, dall’altro emerge la consistenza del numero di persone impiegate in forme di lavoro irregolare, che temendo i – necessari e doverosi – controlli legati all’erogazione del reddito non hanno presentato domanda. Molti di questi lavoratori in nero non sono certo ricchi evasori, ma persone che, semplicemente, non hanno trovato di meglio e non sono nelle condizioni di poter rinunciare a un lavoro certo e irregolare per sperare di averne uno regolare, ma del tutto aleatorio. Poi i precari, i giovani che al momento riescono a vivere in condizioni economiche soddisfacenti, essenzialmente grazie alla rete di sostegno familiare, ma che domani potrebbero trovarsi in ben altre condizioni. Categorie, quella dei lavoratori irregolari e quella dei precari, destinate a incidere negativamente per sé e per gli altri dal punto di vista previdenziale, non contribuendo o contribuendo in minima parte alla tenuta del sistema ed avendo prospettive personali incerte sulla serenità economica durante la propria vecchiaia. Insomma, nonostante le poche domande per il RdC, la povertà in Italia c’è, eccome. Solo che non basta una sola misura, sia pure animata da buone intenzioni, per poter dire, non solo nei numeri delle statistiche, ma nella vita reale di aver “abolito la povertà”.