Danimarca: 73,7%; Estonia: 75,1%; Finlandia: 72,4%; Francia: 66,7%; Germania: 75,2%; Grecia: 48%; Irlanda: 67%; Islanda: 84,5%; Italia: 52,5%; Lettonia: 72,7%; Lituania: 75,5%. Scorrendo l’elenco in ordine alfabetico dei Paesi europei, con riferimento al tasso di occupazione femminile nella fascia di età fra i 20 e i 64 anni, non sarebbe difficile scoprire l’intruso, se non fosse per la presenza della Grecia, sulla quale l’austerity si è abbattuta come una mannaia. L’Italia presenta, però, una caratteristica unica. Se altri Paesi mostrano un costante andamento crescente – è il caso, ad esempio, della Germania e, in parte, della Francia – ed altri evidenziano un calo nel periodo più forte della crisi, come l’Irlanda, il nostro Paese si mantiene in sostanziale equilibrio, quasi ad evidenziare che il dato sull’occupazione femminile è strutturale, né più né meno. Un circolo più vizioso che virtuoso, quindi, che non riflette gli andamenti del ciclo produttivo, quasi impermeabile agli input esterni. Guardando all’altra faccia della medaglia, quella della disoccupazione femminile, sono soltanto tre i Paesi con un tasso sopra alle due cifre: l’Italia (10,4% nel terzo trimestre del 2018; 12,4% come media del 2017), la Spagna (17% media del 2018) e, soprattutto, la Grecia (26,1% media del 2017). Il confronto con altri Paesi europei è impietoso: in Germania, la media del 2018 si ferma al 2,9%; in Polonia è al 3,7%, ma ancora nel 2013 era all’11,1%, un andamento che si riscontra in molti dei neocomunitari.