Gli Stati uniti d’America uscirono prima e meglio dalla crisi del 2007 e del 2008 proprio grazie al lavoro della componente femminile. Negli anni post subprime, infatti, si registrò, per la prima volta dai tempi della Seconda guerra mondiale, ma in quella occasione le cause erano altre, una inversione tendenza, con più donne al lavoro rispetto agli uomini. In Italia, ma più in generale in Europa, non è così, pur con sfaccettature diverse. Uno studio della Fondazione Moressa, però, evidenzia un dato molto interessante per il nostro Paese: l’apporto della componente femminile al prodotto interno lordo. Un quarto del valore aggiunto è ascrivibile ad aziende dirette da donne. In valori assoluti, si tratta di circa 350 miliardi di euro all’anno. L’impatto maggiore, nella misura del 30%, è nel settore degli alberghi e dei ristoranti; poco sotto si posiziona l’agricoltura (28%), mentre in coda vi è l’edilizia (6%). Se, viceversa, si guarda alla consistenza complessiva del prodotto interno lordo nazionale, dal lavoro delle donne deriva il 41,6%, circa 615 miliardi di euro, principalmente nel settore dei servizi (70%) con la manifattura e il commercio più staccati (poco sopra l’11% in entrambi i casi). La stessa Fondazione ha anche provato ad immaginare quanto prodotto interno lordo deriverebbe dall’entrata nel mondo del lavoro dell’esercito delle oltre 4,3 milioni di casalinghe in età lavorativa. L’impatto sarebbe pari a più del 18% del prodotto interno lordo, 268 miliardi di euro.