Il titolo, dall’aria sanremese, non tragga in inganno: non si parla del celebre gruppo musicale degli anni Settanta e Ottanta. Ma di lavoro, povertà e questione sociale. Ed anche del crollo di – alcune – ideologie, ormai messe di fronte alle proprie insanabili contraddizioni. Con la sua solita verve è stato Mario Giordano, sulle pagine de La Verità, a riassumere brillantemente il problema. I “ricchi” detestano il reddito di cittadinanza. Non è giusto, a loro dire, che i poveri vengano aiutati. E non perché i controlli contro i furbi siano pochi, sono stati messi talmente tanti paletti che le domande per avere il reddito potrebbero essere inferiori al previsto, le politiche attive e la riforma dei centri per l’impiego troppo complicate da realizzare o altre obiezioni simili. No. È proprio il concetto di aiutare i più deboli, chiedendo in cambio peraltro una serie di impegni, che li disturba. Essenzialmente perché con i famosi 780 euro al mese scomparirebbero le differenze economiche fra i percettori del reddito e i cosiddetti “working poors” ovvero coloro che, pur essendo occupati a tempo pieno, guadagnano meno della suddetta cifra che, ricordiamolo, corrisponde alla soglia di povertà. Oggi chi non riesce a trovare un lavoro decente o scappa, sono 5 milioni e mezzo gli italiani che se ne sono andati, o si adegua. In Italia si sono adeguati 4 milioni di lavoratori. Tanti. Dopo, temono i “ricchi”, non ci sarebbero più persone disposte a lavorare per così poco e si rischierebbe – guai – di dover aumentare qualche stipendio. Forse sarebbe il caso di proporre alternative credibili, come ad esempio una revisione della pressione fiscale sul lavoro, ma dire che i disoccupati nullatenenti devono restare rigorosamente al di sotto della soglia di povertà per mantenere quella tensione sociale necessaria a far accettare ad altri stipendi da fame è un discorso che neanche nella Londra ottocentesca di Charles Dickens. Così non si va avanti, non solo per questioni etiche e di giustizia sociale, ma anche per calcolo economico. Con la contrazione economica mondiale e la guerra dei dazi, non è più sensato tentare, attraverso misure anti povertà, di incentivare i consumi interni? Ma fa ancor più specie vedere da chi è composto il fronte dei “ricchi” anti reddito e lo sottolinea Giordano nel suo articolo: oltre, come prevedibile e perfino comprensibile, ad alcuni industriali, troviamo in prima linea la sinistra politico/sindacale, i dem, i cattolici progressisti, insomma quelli che si ritengono, chissà poi perché, le anime belle, i buoni contro il cattivismo, che a loro detta è prerogativa delle destre. Roba da non credere. Basterebbe questo per riassumere in poche righe la storia della crisi della sinistra e dell’ascesa del “populismo”, termine usato spesso in modo spregiativo al posto del forse più appropriato “destra sociale”.