di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

I maggiori commentatori politici avevano preso un (altro) grosso abbaglio. La lente deformante del pregiudizio fazioso non permette, infatti, di osservare in modo obiettivo e quindi di trarre conseguenti deduzioni. Ce l’avevano descritto come un “signor nessuno” capitato lì quasi per caso, vaso di coccio fra i due vasi di ferro, ovvero Di Maio e Salvini, ma la rappresentazione era del tutto sbagliata. È vero, era un accademico sconosciuto ai più, ma non ci voleva molto a comprendere che per avere il placet dei due leader doveva avere delle qualità capaci di renderlo adatto al ruolo, non certo semplice, di capo del primo governo “populista” italiano da un lato e di mediatore fra i due movimenti, tanto diversi, che lo compongono dall’altro. Tutto si può dire, di Giuseppe Conte, meno che sia un premier con poca personalità. Lo stile è più felpato rispetto a quello dei vicepremier, ma la sostanza non è poi tanto diversa. Infatti, anche stavolta, come al solito senza scomporsi troppo, ha gettato sul tavolo da gioco della politica due assi nella manica sui temi che negli ultimi giorni stanno infiammando il dibattito pubblico, che poi alla fine sono un tema solo, ovvero quello della nuova e più rigorosa gestione del fenomeno migratorio nell’era gialloblu. Sulla vicenda dei 47 migranti della Sea Watch è tornato dal vertice di Nicosia con un impegno inaspettato da parte di cinque Paesi, Germania, Francia, Portogallo, Malta e Romania, che si sono dichiarati disponibili “per la redistribuzione dei migranti”. E poi ha teso la mano a Salvini sul caso Diciotti, assumendosi “la piena responsabilità politica di quello che è stato fatto” dal ministro dell’Interno, che, secondo Conte, ha agito nell’ambito di una linea concordata e condivisa con tutto l’Esecutivo e non certo in modo isolato, aggiungendo che se avesse ritenuto illegittime le azioni portate avanti dal ministro, egli stesso sarebbe certamente intervenuto per arginarlo. Insomma, in due mosse il premier è riuscito a disinnescare la bomba Sea Watch, arrivando a destare finalmente l’attenzione degli altri Stati europei, ed a palesare il fatto che la questione Diciotti, che prima sembrava riguardare il solo Salvini, è in realtà un vero e proprio processo politico nei confronti dell’operato del governo. La sua parte, il Presidente, l’ha fatta. Dopo gli assist di Conte, ora la palla passa agli altri. Agli Stati Ue, che dovranno dimostrare coi fatti se gli impegni presi e la parola data hanno o meno un effettivo valore, ed ai 5 Stelle che dovranno decidere – ormai definitivamente chiarito il fatto che il ministro è sotto accusa non a livello personale, ma per questioni squisitamente politiche relative alla linea del Governo di cui fanno parte, in proporzione, fra l’altro, maggioritaria – il da farsi sull’autorizzazione a procedere contro Salvini.