Ttip ovvero l’oggetto misterioso non identificato di cui in Italia non si parla.  Il Ttip è il progetto di accordo di libero scambio attualmente in discussione tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Misterioso resta anche dopo che il 15 ottobre a Bruxelles 105 manifestanti anti-austerity e anti-Ttip sono stati arrestati tra i 600 che hanno preso parte ai cortei e alle azioni per bloccare il vertice Ue dei 28 sull’immigrazione. Dopo che a Berlino il 10 ottobre ben oltre 100.000 persone sono scese in piazza per protestare contro il Ttip, manifestazione convocata da 16 organizzazioni tra cui Greenpeace, Oxfam e la Confederazione dei sindacati tedeschi.

I motivi delle proteste? Il timore che il trattato possa abbassare gli standard di qualità, sicurezza e tutela ambientale, nonché mettere in pericolo i diritti dei lavoratori. Noi in Italia con il Jobs Act già siamo un bel pezzo avanti, in quanto a cancellazione di diritti. Ma, se lo temono i tedeschi e gli spagnoli, perché non dovremmo temerlo anche in Italia? Silenzio. Però ogni tanto se ne scrive, qua e là, nei quotidiani o nei settimanali, chi per convincere i pochi informati che dal Ttip non dobbiamo temere nulla (Foglio, ad esempio; persino il Fatto Quotidiano), più raramente per adombrare qualche dubbio (Italia Oggi).

Oltre che misterioso, il negoziato sul Ttip è di difficile conclusione, come ha ammesso in una recente intervista al quotidiano Avvenire il commissario europeo al Commercio, Cecilia Malmstroem. Forse perché, come una volta si è lasciata incautamente sfuggire la stessa Malmstroem, a volere l’accordo di libero scambio non sono gli europei ma le multinazionali americane. In ogni caso, e nonostante la difficoltà del negoziato, la Ue si è data un obiettivo: siglare l’intesa entro gennaio 2016, data che corrisponde alla fine della presidenza Obama. Insomma, ci siamo.

Allora vediamo che cos’è questo famigerato oggetto misterioso. Sul sito della Commissione europea si trova obiettivamente del materiale, ma se si specifica subito nella prima riga che la Commissione “sta negoziando il Ttip nel modo più trasparente possibile”, vuol dire che “excusatio non petita, accusatio manifesta”.

Infatti l’entità dell’accordo è gigantesca, come si comprende dai 24 articoli suddivisi in 3 sezioni che lo compongono: niente di meno che “Accesso al mercato”, “Cooperazione in campo normativo”, “Norme”. Qui siamo solo all’antipasto, vediamo nel dettaglio i 24 capitoli: Scambi di merci e servizi doganali; Appalti pubblici; Norme di origine; Coerenza normativa; Ostacoli tecnici agli scambi; Sicurezza alimentare e salute degli animali e delle piante; Industrie specifiche; Prodotti cosmetici; Ingegneria; Dispositivi medici; Pesticidi; Tecnologie dell’informazione e della comunicazioni (Tic); Prodotti farmaceutici; Prodotti tessili; Veicoli; Sviluppo sostenibile; Energia e materie prime; Dogane e facilitazione degli scambi; Piccole e medie imprese; Protezione degli investimenti; Concorrenza; Proprietà intellettuale e indicazioni geografiche; Composizione delle controversie tra governi.  Senza scendere nei dettagli e senza collocarsi tra gli inascoltati e inutili catastrofisti, anche un bambino comprenderebbe che in quei capitoli si tocca materiale incandescente.

Qualcuno in Italia (Confagri), tra i pochi che ne parlano e tra questi l’Ugl che gli ha dedicato ampio spazio in una delle tappe del Jobs Act (SudACT 8 – Agroalimentare – versione finale),  ha ipotizzato che l’accordo si potrebbe evitare. Ma il 5 ottobre un altro accordo di libero scambio è stato raggiunto tra Usa e 11 paesi del Pacifico. Anche in questo caso non si tratta di bazzecole: eliminazione delle barriere tariffarie e non-tariffarie; adeguamento degli standard commerciali in una vasta area dell’Asia-Pacifico  associando l’economia statunitense a quella di altri undici Paesi (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam); impegno tra i partner a cooperare sul fronte delle valute.

Non sottoscrivere il Ttip signfica correre il rischio di essere economicamente asfaltati, esattamente come sottoscriverlo male. Allora perché in Italia non se ne parla? Perché un presidente del Consiglio così comunicativo non ne fa menzione? Impensabile che Renzi non ne sappia nulla né che il silenzio non sia strategico.

Allora il silenzio può dimostrare almeno la validità di una tesi che l’Ugl sostiene da tempo: l’Italia nell’era renziana non ha una politica industriale, non ha un progetto, non ha una visione di sé, se non quella di “Paese cuscinetto” delle politiche e degli affari altrui, che si concretizza al minimo nel “non disturbare”, al massimo nel “coadiuvare”.

Ecco perché il Ttip è e sarà ancora un oggetto misterioso non identificato.  Un Ufo.