Nonostante il miglioramento registrato rispetto al 2016, lo scorso anno quasi una persona ogni tre era ancora a rischio di povertà o di esclusione sociale. Si può dire in “miglioramento” perché la quota è scesa rispetto al 30% dell’anno precedente, ma si parla comunque di un preoccupante 28,9%. All’interno di questo aggregato, spiega l’Istat, risulta pressoché stabile al 20,3% la percentuale di individui a rischio di povertà (era 20,6% nell’anno precedente) mentre si riducono sensibilmente i soggetti che vivono in famiglie gravemente deprivate (10,1% da 12,1%), come pure coloro che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (11,8%, da 12,8%). Anche queste ultime rilevazioni confermano come sia sempre il Mezzogiorno la ripartizione territoriale più esposta in tal senso. Tra Sud e Isole il rischio povertà o esclusione sociale interessa quasi la metà della popolazione, registrando comunque una diminuzione rispetto al 2016: dal 46,9% al 44,4%. Seguono il Centro – con una quota della popolazione a rischio pari al 25,3% del totale (stabile sul 2016) – e il Nord-Ovest (dove si passa dal 21% del 2016 al 20,7% dell’anno scorso), mentre il Nord-Est è l’area del Paese dove l rischio risulta più basso: con una quota di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale pari al 16,1% (17,1% nel 2016). Le famiglie più vulnerabili sono quelle composte da cinque o più componenti tra le quali, pur registrando un miglioramento rispetto all’anno precedente, quelle a rischio povertà o esclusione sociale sono il 42,7% del totale (43,7% un anno prima). Stando ai dati raccolti dall’Istat, nel 2016 si è registrato n aumento del reddito medio netto per famiglia per tutte le fasce di reddito (+2% in generale in termini nominali e +2,1% in termini di potere d’acquisto), ma l’aumento maggiore ha interessato il quinto di famiglie meno abbienti. «Al netto degli affitti figurativi – si legge nell’analisi dell’Istituto -, si stima quindi che il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco e quello del 20% più povero si sia ridotto da 6,3 a 5,9, pur rimanendo al di sopra dei livelli pre-crisi (nel 2007 era 5,2)».