di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

In pieno ciclone Renzi, in perfetta solitudine, la nostra Organizzazione sindacale evidenziò un dato incontrovertibile: il Mezzogiorno avrebbe bisogno di un grande piano di adeguamento infrastrutturale nella misura di sessanta miliardi di euro, spalmati su più anni. E ciò soltanto per riportare le regioni meridionali nella media nazionale. Qualche settimana fa, da Genova, dove siamo ritornati per un incontro pubblico, presenti le istituzioni locali, dopo essere già stati presenti il 16 agosto con una conferenza stampa a poche ore dal tragico crollo del ponte Morandi, abbiamo presentato i numeri del Nord Italia sulle infrastrutture in ritardo e sulle necessità finanziarie a copertura dei progetti di interesse nazionale. Tre anni passati a ricordare che i cantieri grandi, medi e piccoli sono fondamentali per far ripartire l’economia, ma anche per assicurare il pieno rispetto dei diritti costituzionali, dalla mobilità allo studio, dal lavoro alla salute. Ed allora, non possiamo che accogliere con favore l’attenzione che oggi mostrano le associazioni datoriali verso il tema delle infrastrutture. I mezzi di comunicazione stanno dando grande enfasi a quello che nei titoli passa come il Partito del Prodotto interno lordo, iscrivendovi di diritto i leader di Confindustria e delle altre centrali datoriali. Tutto giusto, tutto esatto. Lasciando da parte la classica reazione del governo in carica, che ha ereditato una situazione oggettivamente complessa, è necessario spendere una parola per chiarire che le associazioni datoriali farebbero bene a domandarsi anche cosa possono fare loro per far ripartire l’economia. Si possono pure costruire ponti, strade e ferrovie, ma ciò non sarebbe sufficiente, se accanto non venissero posti in essere altri interventi nelle fabbriche e, più in generale, nei luoghi di lavoro. È il tempo della maturità. Giustamente, si può chiedere al presidente del Consiglio dei ministri di turno di mettere dei miliardi sulle infrastrutture o, piuttosto, sulla riduzione del cuneo fiscale, ma gli industriali, i commercianti, gli artigiani, i professionisti, insomma tutti coloro che hanno del personale a loro disposizione devono capire che la partita è più complessa, investendo vari aspetti. Soffriamo, da sempre e non da oggi, per la bassa produttività dei diversi fattori della produzione. Gli incentivi fiscali possono aiutare a modernizzare le nostre aziende, ma non sarebbero sufficienti, se, nel frattempo, non si produce un cambiamento di mentalità, proprio fra gli imprenditori, in particolare in quelli che, in questi anni di profonda trasformazione, si sono colpevolmente adagiati nel loro orticello. Ci aspettiamo, ad esempio, di sentir parlare pure di partecipazione.