avv. Ferruccio Pezzulla

Nota a sentenza Corte Cost. n. 194/2018

Come noto la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità Costituzionale dell’ art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015), in riferimento al criterio di determinazione dell’indennità risarcitoria, stabilendo che questo non può essere parametrato unicamente in relazione all’anzianità lavorativa.

A seguito del dispositivo in data 8 novembre 2018 è stata depositata la sentenza contenente le relative motivazioni.

La sentenza della Corte costituzionale (8 novembre 2018, n. 194), dichiara, per l’appunto,  illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento stabilito dal Job Act (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015), per il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte in cui calcola in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.

Occorre rilevare che non viene messo in discussione il principio del mero ristoro economico, a fronte della declaratoria di illegittimità del licenziamento in luogo della tutela reale accordata dall’art. 18, legge n. 300/1970.

A non aver passato il vaglio della legittimità costituzionale è il sistema rigido di previsione di una indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore, contrario, ad avviso della Corte, ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4  e 35 della Costituzione.

 

Osserva al riguardo la Corte:

“Ricostruite le caratteristiche della tutela prevista dal denunciato art. 3, comma 1, tale disposizione, nella parte in cui determina l’indennità in un «importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», contrasta, anzitutto, con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse (terzo dei profili di violazione dell’art. 3 Cost. prospettati dal rimettente). Come si è visto, nel prestabilirne interamente il quantum in relazione all’unico parametro dell’anzianità di servizio, la citata previsione connota l’indennità, oltre che come rigida, come uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità. È un dato di comune esperienza, ampiamente comprovato dalla casistica giurisprudenziale, che il pregiudizio prodotto, nei vari casi, dal licenziamento ingiustificato dipende da una pluralità di fattori. L’anzianità nel lavoro, certamente rilevante, è dunque solo uno dei tanti. Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015 il legislatore ha ripetutamente percorso la strada che conduce all’individuazione di tali molteplici fattori. L’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge n. 108 del 1990), ad esempio, lascia al giudice determinare l’obbligazione alternativa indennitaria, sia pure all’interno di un minimo e un massimo di mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, «avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti». Inoltre, a conferma dell’esigenza di scrutinare in modo accurato l’entità della misura risarcitoria e di calarla nell’organizzazione aziendale, la stessa disposizione dà rilievo all’anzianità di servizio per ampliare ulteriormente la discrezionalità del giudice, relativamente ai datori di lavoro che occupano più di quindici prestatori di lavoro. L’anzianità di servizio superiore a dieci o a venti anni consente, infatti, la maggiorazione dell’indennità fino, rispettivamente, a dieci e a quattordici mensilità. Anche l’art. 18, quinto comma, della legge n. 300 del 1970 (come sostituito dall’art. 1, comma 42, lettera b, della legge n. 92 del 2012) prevede che l’indennità risarcitoria sia determinata dal giudice tra un minimo e un massimo di mensilità, seguendo criteri in larga parte analoghi a quelli indicati in precedenza, avuto riguardo anche alle «dimensioni dell’attività economica».

Il legislatore ha dunque, come appare evidente, sempre valorizzato la molteplicità dei fattori che incidono sull’entità del pregiudizio causato dall’ingiustificato licenziamento e conseguentemente sulla misura del risarcimento. Da tale percorso si discosta la disposizione censurata. Ciò accade proprio quando viene meno la tutela reale, esclusa, come già detto, per i lavoratori assunti dopo il 6 marzo 2015, salvo che nei casi di cui al comma 2 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015. In una vicenda che coinvolge la persona del lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia. Tale discrezionalità si esercita, comunque, entro confini tracciati dal legislatore per garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto, entro una soglia minima e una massima. All’interno di un sistema equilibrato di tutele, bilanciato con i valori dell’impresa, la discrezionalità del giudice risponde, infatti, all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza. La previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – diverse. 12.− L’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennità in un «importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio», contrasta altresì con il principio di ragionevolezza, sotto il profilo dell’inidoneità dell’indennità medesima a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente (quarto dei profili di violazione dell’art. 3 Cost. prospettati dal rimettente).

Nella sostanza, la quantificazione non sarà fissa e standardizzata e sarà determinata discrezionalmente dal Giudice, avuto riguardo ad una molteplicità di fattori, tra cui anche l’anzianità lavorativa.

Da ultimo si aggiunga che occorrerà verificare anche la compatibilità di tale impianto con il decreto dignità, che ha innalzato, per tutti i rapporti di lavoro soggetti all’applicazione del c.d. jobs act, l’indennità risarcitoria  da tre a trentasei mensilità dell’ultima retribuzione utile per la eterminazione del tfr.

Di seguito il Dispositivo della sentenza.

Il giuidizio di legittimità era stato promosso dalla terza sezione lavoro del Tribunale di Roma; con la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018, la Corte costituzionale ha ora disposto:

1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (cd. Job Act) limitatamente alle parole “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, “;

2) l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, lett. c), l. 10 dicembre 2014, n. 183 (cd. Delega Lavoro Job Act) e degli artt. 2, 3, commi 2 e 3, e 4, d.lgs. n. 23 del 2015, sollevate in riferimento agli artt. 34 comma 135 comma 176 e 117 comma 1, Cost., questi ultimi due articoli in relazione all’art. 30 della Carta di Nizza, alla Convenzione OIL n. 158 del 1982 sul licenziamento, e all’art. 24 della Carta sociale europea;

3) l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, sollevata in riferimento agli artt. 76 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 10 della Convenzione OIL n. 158 del 1982 sul licenziamento;

4) la non fondatatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, sollevata in riferimento agli artt. 76 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 30 della Carta di Nizza.