«Too big, to fail», si diceva; ed invece il 15 settembre del 2008 arriva la bancarotta

L’impossibile alla fine è successo. Che qualcosa non andasse, era chiaro già nel luglio del 2008, quando il Congresso americano, sempre molto restio ad accordare aiuti pubblici in nome del tradizionale liberismo spinto, pose sotto il controllo dell’esecutivo due società finanziarie – Fannie Mae e Freddie Mac – erogatrici di mutui immobiliari. È, però, a settembre che la situazione sfugge di controllo, con l’attenzione che si sposta su Lehman Brothers. «Too big to fail», troppo grande per fallire: è questa la convinzione diffusa fra l’opinione pubblica e gli operatori di mercato, salvo poi scoprire dalla telegiornali della mattina del 15 settembre che ciò che non doveva o poteva accadere, poi era effettivamente successo. La lunga fila di dipendenti, ognuno con la propria scatola di cartone a portare via i pochi effetti personali, è l’immagine plastica della crisi di sistema che ha investito le economie mondiali. Lehman Brothers, fondata nel 1850, è in bancarotta. Il presidente Bush figlio decide di non intervenire, lasciando ai mercati il compito di regolare la faccenda. Ma le Borse sono ormai intossicate da anni di speculazioni; crolla il Dow Jones e poi tutto il resto del castello mondiale, cresciuto a dismisura proprio grazie alla spregiudicatezza delle banche d’affari, molto attive sul territorio americano, ma anche in Europa, dove ad andare in crisi sono anche i Paesi sovrani, ad iniziare da Islanda e Ucraina, tenuti in piedi dal Fondo monetario internazionale.