di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Non poteva esserci una “rappresentazione” più scioccante, ampia e simultanea di quella che abbiamo avuto ieri, a soli due giorni di distanza dall’8 agosto, proclamata “’Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”, sull’importanza della sicurezza sul lavoro nella nostra vita quotidiana e sulle innumerevoli tragiche conseguenze che si possono verificare in mancanza di essa.
Credo, da sindacalista – anzi spero anche da uomo e padre di famiglia -, che non vi possano essere dubbi in merito alla circostanza che gli “incidenti” accaduti in Puglia e a Bologna sono da considerare tutti infortuni mortali sul lavoro. Ma devo purtroppo rilevare, e francamente faccio molta fatica ad accettarlo, che l’approccio che si sta tentando di imporre su quasi tutti i mezzi di informazione, e non solo, è creare una separazione, una distinzione che nella realtà non esiste: quello di Bologna non è “solo” un gigantesco incidente stradale e quello avvenuto a Lesina, nel foggiano, non è l’unico tragico incidente sul lavoro, che peraltro ha visto la morte di 12 persone, tutte quante “reclutate” nella cosiddetta economia sommersa. Tutti i gravissimi e forse evitabili incidenti in realtà sono nati e si sono verificati nel medesimo “territorio”, il lavoro. Per quanto mi riguarda e per quanto riguarda l’Organizzazione sindacale che rappresento, l’Ugl, qualsiasi tentativo di “classificare” separatamente e diversamente questi fatti tragici è una mera speculazione.
Ricordo che l’unica vittima mortale dell’autocisterna esplosa ieri a Borgo Panigale era un autista esperto, che da molti anni guidava mezzi che trasportano materiale infiammabile, persona di conseguenza morta sul lavoro, così come sono vittime di un incidente sul lavoro la maggior parte di 145 feriti, tra i quali c’è il poliziotto “eroe”, uno dei primi ad intervenire sul posto, e i 12 carabinieri intervenuti in borghese per salvare più vite possibili, evidentemente riuscendoci perché sarebbe potuta finire anche peggio di così. Sull’incidente avvenuto ieri in Puglia in cui sono morte 12 persone, tutti immigrati, tutti braccianti e senza documenti, sono state aperte due inchieste: una per caporalato, cioè per verificare se fossero nelle mani dei caporali e l’altra per ricostruire le dinamiche dell’incidente ovvero per comprendere cosa può averlo causato, tenendo conto che è morto anche l’autista del pulmino coinvolto. Riteniamo che le due circostanze siano inscindibili perché è proprio il lavoro in nero e disonesto ad essere anche pericoloso, oltre che illegale e, in questo caso come in quello simile avvenuto pochi giorni prima, criminale. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha promesso più ispettori, ma purtroppo e davvero non basta.
L’Italia è stata già condannata dalla Corte di Giustizia europea per non aver considerato nel ricevimento delle direttive europee con il D.Lgs. 627/94 «tutti i rischi», tant’è che questa sintetica ma fondamentale espressione fu introdotta con una legge milleproroghe (n° 39/97) ed ancora oggi, con il D.Lgs. 81/08, si devono valutare e prevenire «tutti i rischi».
Non nascondiamoci dietro a un dito, dietro alle parole e alle “dinamiche” di un incidente: apriamo subito gli occhi.