Vertenza sicuramente non facile, anche se il risultato potrebbe essere a portata di mano. È questo in sintesi lo scenario che si presenta sulla vicenda dei rider, i ciclo-fattorini impiegati nella consegna di cibo a domicilio. Negli ultimi anni, il fenomeno è cresciuto in maniera esponenziale. Se è vero che le consegne a domicilio di pranzi e cene sono sempre esistite, la novità è che l’avvento delle piattaforme su tablet e smartphone ha aperto prospettive diverse anche ai piccoli ristoratori. Certo, l’attività di intermediazione ha un costo derivante dalla necessità di organizzare un servizio che sia comunque efficiente e flessibile su base giornaliera (le ore di maggiore utilizzo sono quelle in coincidenza con i pasti principali) e settimanale (i clienti dal lunedì al venerdì sono spesso diversi da quelli del sabato e della domenica). In assenza di una specifica disciplina, le applicazioni si sono organizzate, utilizzando in molti casi personale inquadrato con partita Iva. La cosa, a lungo andare, ha creato notevoli scompensi. Da qui, le proteste dei rider, almeno di quelli che operano a tempo pieno e che nelle consegne a domicilio hanno il loro lavoro principale. L’apertura di un tavolo ministeriale ha permesso di evidenziare, fra le imprese del settore, almeno tre posizioni principali. La prima è quella rappresentata da Deliveroo ed altre app, in particolare internazionali, che si sono riunite in Assodelivery. Secondo queste, gli addetti alle consegne non possono essere inquadrati nella categoria dei lavoratori in subordinazione, per una serie di ragioni, compreso il fatto che molti di loro operano in multicommittenza. Per Assodelivery, la strada percorribile rimane quella del lavoro autonomo, da rafforzare con la definizione di un pacchetto di tutele e garanzie sul compenso e sulla copertura assicurativa. Di diverso avviso, un altro gruppo di operatori, da Foodora a Moovenda, passando per Foodracers e Prestofood: la pensano diversamente ed aprono decisamente ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per cercare di mediare fra le esigenze imprenditoriali e le giuste aspettative dei lavoratori. Domino’s pizza si pone, al momento, su di una posizione assolutamente indipendente, sostenendo la possibilità che si possa arrivare anche all’utilizzo del lavoro subordinato, preferibilmente attraverso la sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale di lavoro dedicato.