di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Negli ultimi giorni si è riacceso il dibatto sul Ceta, il trattato di libero scambio fra Unione Europea e Canada. Il governo, perplesso se non ostile alla ratifica dell’accordo, anche in questa occasione dimostra di non essere così disomogeneo come in molti lo dipingono, tutt’altro. La sintonia fra le due forze anche in questa materia è piuttosto evidente. Ulteriore dimostrazione del consolidamento di un fronte anti globalista che in Italia non è più solo culturale, ma anche politico, di più, governativo e che si oppone al modello, fino a poco tempo fa vincente ed ora invece in affanno, fondato sull’ideologia ultraliberista. Ideologia alla base della formulazione del CETA stesso, che infatti, ha l’obiettivo di eliminare gran parte delle tariffe doganali, ma soprattutto delle limitazioni normative che regolano gli scambi commerciali tra Ue e Canada in nome di presunti vantaggi economici che deriverebbero da tale deregolamentazione. Le ragioni che spingono molti a dubitare della positività degli effetti del trattato sono diverse. In primo luogo alcune regole che verrebbero livellate verso il basso sono quelle che si occupano di tutelare sicurezza alimentare, Ogm, principio di precauzione a difesa della salute e sicurezza, difesa dei marchi italiani, indicazione del Paese d’origine dei prodotti e trasparenza nell’etichettatura. Norme che invece andrebbero rafforzate per tutelare sia i consumatori che i produttori italiani ed europei. Altro elemento negativo è la sostanziale riduzione del principio di sovranità nazionale laddove nel trattato si prevedono organismi arbitrali privati, quindi del tutto esenti da ogni legittimazione democratica, che avrebbero il compito di risolvere eventuali controversie tra investitori privati e Stati, ponendosi quindi al di sopra della stessa autorità pubblica. Infine l’ulteriore apertura alla concorrenza di operatori privati e stranieri anche in settori delicatissimi quali sanità, servizio idrico, istruzione e servizi sociali. Dal punto di vista del sindacato si tratta dell’ennesimo tentativo di sacrificare i capisaldi del  modello sociale italiano ed europeo – che mette in primo piano i diritti sociali, l’interesse collettivo, la legittimità politica, la sovranità nazionale – sull’altare del cosiddetto libero mercato. Non solo. A chi afferma che comunque ne varrebbe la pena perché la nostra economia ne trarrebbe giovamento rispondiamo che nutriamo seri e fondati dubbi in merito all’esito positivo di dello scontro impari che si creerebbe fra i nostri piccoli e medi produttori – del settore agroalimentare e non solo – e le grandi corporation americane attraverso le loro controllate canadesi. Ben venga, quindi, la diffidenza del nostro Governo su un trattato finora in vigore in via provvisoria che per diventare definitivo deve essere ratificato da tutti i Parlamenti dei 28 Stati Ue.