«Il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili». Forse non ha tutti i torti l’ormai ex ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson. Ma è necessario unire tutti i puntini prima di giungere a possibili conclusioni. Le sue dimissioni, giunte ieri dopo quelle di David Davis, sono l’ultimo capitolo di una vicenda politica ingarbugliata a dir poco. Il Regno Unito, a seguito del referendum del giugno 2016 che sancì l’avvio dello spigoloso processo di uscita dall’UE, si presentava come un laboratorio nel cuore del Vecchio continente, il baluardo coraggioso di un sentimento diffuso tra il popolo, apripista di una riscoperta della sovranità nazionale. Le difficili trattative con Bruxelles, tuttavia, hanno messo in luce le beghe politiche all’interno del governo conservatore guidato da Theresa May, a sua volta rappresentativo delle diverse anime del partito tra quanti sono sempre stati fautori di una “hard Brexit” e chi, al contrario, preferirebbe divorziare da Bruxelles passando per una “soft Brexit” (un’uscita ponderata che permetterebbe al Regno Unito di beneficiare del mercato unico, soluzione che non dispiacerebbe a molte aziende). Il voto anticipato dello scorso anno si è rivelato sotto molti aspetti un boomerag per May, la cui linea morbida emersa negli ultimi giorni ha finito per spingere due importanti ministri – quali appunto Davis e Johnson – a lasciare, affossando il governo e compromettendo ulteriormente il processo di uscita. In questo senso, insomma, non si può negare che la mossa di Johnson, soprattutto, sia una sfida per la leadership. Con quali conseguenze, mettendo da parte i catastrofismi dei mesi scorsi, è difficile da immaginare. Ipotizzando un governo May al capolinea, potrebbe naufragare anche «il sogno della Brexit», per dirla di nuovo con Johnson? Certo è che adesso aumentano i timori per un’uscita senza accordo, i cui effetti sull’economia potrebbero rivelarsi negativi. Mentre i rappresentanti dell’UE osservano l’evolversi della situazione, senza però intervenire in maniera diretta, May – la quale potrebbe affrontare a breve una mozione di sfiducia – ha già nominato i sostituti dei dimissionari Davis e Johnson. Il nuovo ministro per la Brexit, che avrà il compito di trattare con Bruxelles, è il 44enne Dominic Raab; Jeremy Hunt il successore dell’ex sindaco di Londra agli Esteri. Theresa May, visti gli ostacoli sopraggiunti, prova a resistere come può.