di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ricorre oggi l’anniversario della strage di Viareggio. È la notte del 29 giugno del 2009 quando un treno merci con quattordici cisterne cariche di Gpl, partito da Novara verso Caserta e giunto nei pressi della stazione toscana, deraglia trascinando i vagoni carichi di miscela esplosiva fuori dai binari. Poco dopo, lo schianto innesca l’incendio e con esso le esplosioni che devastano il cuore della città. L’incidente provoca 32 vittime assalite dal fuoco o investite dal crollo degli edifici, due decessi per infarto e 25 feriti. In seguito alle indagini della Polfer per conto della Procura di Lucca la causa della tragedia viene identificata nel cedimento strutturale di un asse del primo carro-cisterna deragliato, che provoca il ribaltamento della cisterna stessa, il suo impatto con un elemento dell’infrastruttura ferroviaria e quindi la fuoriuscita del gas liquido ed i conseguenti incendi ed esplosioni. Ma alla base di tutto c’è un fattore più profondo, come affermano i giudici nella sentenza di primo grado, ottenuta a distanza di otto anni, nel 2017, ossia le manutenzioni inadeguate da parte delle società coinvolte che hanno “ottenuto vantaggi consistenti nel risparmio economico derivato dalla omissione di interventi di carattere tecnico”. In sintesi l’incidente – affermano i giudici – si poteva e doveva evitare “attraverso il rispetto di consolidate regole tecniche” che non sono state osservate per ottenere più profitti. Le imprese condannate sono la multinazionale Gatx, ed in particolare Gatx Rail Austria e Germania, Jungenthal Waggon, Trenitalia ed Rfi. 25 le persone dichiarate colpevoli a vario titolo per disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio e lesioni colpose: le pene più severe per dirigenti e tecnici di Gatx e Jungenthal, responsabili dei problemi di meccanica, condanne a 7 e più anni di carcere per i vertici del sistema ferroviario italiano dell’epoca dei fatti: Michele Mario Elia, Mauro Moretti e Vincenzo Soprano. Della tragedia restano nella memoria particolari tristemente indimenticabili: i funerali di Stato di alcune delle vittime, ai quali partecipò una folla di almeno 30.000 persone; le iniziali difficoltà degli inquirenti nell’individuare degli indagati e le manifestazioni popolari a chiedere risposte; lo Stato che rinuncia a costituirsi parte civile; la battuta di Moretti che in Senato liquida la tragedia derubricandola a “spiacevole episodio”; il licenziamento del ferroviere Riccardo Antonini, “colpevole” di aver svolto attività di consulenza gratuita in favore delle famiglie delle vittime. Nonostante siano stati individuati dei responsabili ed emesse delle sentenze, resta la sensazione di una giustizia negata, in un sistema – ferroviario e non solo – sempre più privatizzato e liberalizzato che continua a preferire il profitto alla sicurezza dei lavoratori e degli utenti.