di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

A conferma di un dato purtroppo già ampiamente conosciuto, è arrivata la nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione a firma congiunta di Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Ebbene, più dell’80% dei nuovi contratti è a termine. Malgrado il fatto che, con Fornero e Jobs Act, il “posto fisso” non sia più stabile come un tempo, il contratto a tempo indeterminato resta comunque un miraggio. Chi trova un lavoro al giorno d’oggi nella stragrande maggioranza dei casi – quattro su cinque – firma, infatti, un contratto a scadenza. A dirla tutta, anche il contratto a tempo determinato nell’era Renzi ha subito delle modifiche: con il decreto Poletti si è realizzata una vera e propria liberalizzazione che ha tolto molti dei paletti imposti alle imprese per poter utilizzare questa tipologia lavorativa, a cominciare dall’obbligo di causale. Il risultato del complessivo impianto delle riforme del lavoro attuate negli ultimi anni è stato il diffondersi di un’occupazione di scarsa qualità che non garantisce alle persone che entrano nel mondo del lavoro, giovani o meno che siano, quella sicurezza economica e contrattuale in grado di gettare le basi per una vita stabile e soddisfacente. Per innescare un circolo virtuoso capace di modificare la situazione occorrono iniziative su vari fronti: fisco, infrastrutture, costi dell’energia, sburocratizzazione. Bisogna, in sintesi, rimettere in moto l’economia per aumentare la domanda di lavoro. Altrimenti anche le imprese più virtuose e corrette non avranno la possibilità, anche in caso di bisogno, di assumere e di proporre contratti stabili. Questo è innegabile. Ma serve anche una nuova visione del lavoro. Occorre restituire dignità al ruolo dei lavoratori dipendenti, troppo spesso calpestata nell’inseguimento del traguardo irraggiungibile di una competitività basata esclusivamente sulla contrazione dei costi e delle tutele del lavoro. Ora il ministro Di Maio ha confermato di voler mettere mano alla questione, in prima battuta attraverso il provvedimento attualmente all’esame del dicastero del lavoro, definito, non a caso «decreto dignità». Un provvedimento che si occupa di diverse materie fra le quali, appunto, una riforma del contratto a tempo determinato che mira a reintrodurre l’obbligo di causale, con tre possibili ragioni tecnico- produttive, organizzative e sostitutive ed a ridurre da cinque a quattro le proroghe possibili ai contratti, nell’ambito della durata complessiva che rimarrebbe inalterata a 36 mesi. Un primo tassello nel disegno di M5S e Lega volto a rivedere la legislazione sul lavoro ed il Jobs Act – dalla revisione del decreto Monti sulle aperture dei negozi nei giorni festivi all’aumento degli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo – il tutto al fine di recuperare il terreno perduto in termini di diritti e tutele.