di Caterina Mangia

Chissà cosa ne direbbe Alessandro Magno. Dopo una lite che si protrae dal lontano 1991, finalmente sarebbe “pace” tra la Grecia e la Macedonia sul nome del secondo Paese, che potrebbe variare in Repubblica della Macedonia del Nord.
Il ministro degli Esteri macedone, Nikola Dimitrov, e l’omologo greco Nikos Kotzias, alla presenza dei premier dei rispettivi Paesi, hanno infatti firmato un’intesa che pone fine a un’annosa diatriba, che ha visto il Paese ex jugoslavo e l’omonima regione greca “litigarsi” lo stesso nome per quasi un ventennio. Adesso si attende la ratifica dell’accordo da parte dei rispettivi parlamenti e un referendum in Macedonia.
Il compromesso raggiunto è tuttavia riuscito a scontentare i cittadini di entrambi i Paesi: a Skopje si sono verificati scontri tra polizia e dimostranti contrari alla variazione di appellativo, e anche in Grecia c’è chi ha manifestato contro la decisione di lasciare nel nome del Paese ex Jugoslavo la parola “Macedonia”, termine che per chi ha protestato è patrimonio esclusivo del mondo ellenico. Insomma, nella battaglia per un nome è in gioco l’eredità di “Alessandro Magno”, e con essa una tradizione, una storia, un’identità: tema, quest’ultimo che, con l’ascesa dei movimenti e dei partiti sovranisti, riaffiora potentemente dopo decenni di indiscriminata globalizzazione e livellamento delle differenze.
E pensare – ironia della storia, – che il termine “Macedonia”, originariamente comparso nel greco antico (makedonòs) per designare gli “uomini alti” che abitavano la regione, è stato in seguito utilizzato proprio per sottolineare l’eterogeneità delle stirpi che popolavano il territorio, proprio come eterogenee sono le varietà di frutti che compongono l’omonima pietanza.