di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Il fenomeno della delocalizzazione della produzione dall’Italia verso altri Paesi europei o extra europei sta comportando una vera e propria destrutturazione del sistema industriale e quindi economico ed occupazionale italiano. Le conseguenze sono decisamente negative, non solo, naturalmente, per i lavoratori direttamente interessati, ma anche per aziende e dipendenti dell’indotto, per la comunità che perde lavoro e ricchezza, in sintesi per l’intero sistema. Per attirare e mantenere le imprese occorre rendere più “conveniente” lavorare in Italia. Non certo puntando al ribasso, ossia comprimendo diritti e costo del lavoro – come è stato fatto finora, con il risultato di peggiorare notevolmente le condizioni dei nostri lavoratori senza peraltro riuscire a competere con Stati nei quali il tenore di vita è notevolmente più basso – ma intervenendo sulle criticità che scoraggiano le imprese ad investire e restare in Italia: fisco, burocrazia, infrastrutture ed energia e supportando la qualità della nostra forza lavoro, investendo in istruzione e formazione. Detto ciò, è anche necessario pretendere dalle imprese che operano nel Paese la doverosa correttezza. Ora è allo studio del nuovo governo un decreto che dovrebbe occuparsi proprio di questo. Si tratterebbe del primo provvedimento del nuovo Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, denominato “decreto dignità” che, oltre al tema delle delocalizzazioni, dovrebbe occuparsi anche di imprese, precarietà e gioco d’azzardo. L’idea di fondo sarebbe quella di obbligare le imprese che delocalizzano in altri Stati – ivi compresi quelli dell’Unione europea – a restituire allo Stato i fondi eventualmente percepiti sotto forma sia di aiuti pubblici che di incentivi fiscali.  Una misura importante, che darebbe un segnale significativo: se ci deve essere collaborazione fra imprese e comunità nazionale, tale collaborazione deve essere reciproca. È inaccettabile, infatti, che le aziende che ricevono aiuti pubblici per superare momenti di crisi e mantenere le soglie occupazionali, poi abbandonino il Paese quando scema l’interesse e la convenienza a restare in Italia. Già qualche anno fa, con la legge di Stabilità per il 2014, era stato preso un primo parziale provvedimento anti-delocalizzazioni, che imponeva alle aziende, che trasferivano i propri impianti al di fuori dell’Ue con riduzione del personale di almeno il 50 per cento, di restituire i contributi – solo quelli in conto capitale, però – ricevuti nei tre anni precedenti al trasferimento. La misura in esame dovrebbe essere più radicale. La disciplina dovrà, comunque, rispettare le normative Ue su aiuti di Stato e mercato comune, sarà dunque necessario conoscere nel dettaglio questo provvedimento per comprenderne la portata, specie nell’ambito dell’attuale fase di revisione degli equilibri europei.