di Caterina Mangia

«La cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati».
Se Philip Roth si sia goduto o meno la gita della sua vita, non è dato sapere. Quello che è certo è che lo scrittore, che ci ha lasciato ieri sera  a Manhattan all’età di 85 anni, ha sondato le profondità, gli inganni, le finzioni, le sfumature e gli orizzonti di senso dell’esistenza come, forse, nessun autore contemporaneo ha saputo fare. Spietatamente lucido e dissacrante, ruvido al tempo stesso “umano, troppo umano”, Roth è stato un interprete eccezionale di vizi, virtù, ossessioni e tabù della società americana e dell’umanità nel suo complesso. La sua penna non ha temuto il confronto con gli abissi e le maschere dell’anima: religione, morale, sesso, vecchiaia, amore, nevrosi e fragilità sono i temi affrontati nei suoi romanzi con saggia sfrontatezza, in uno straordinario amalgama letterario di leggerezza e profondità, filosofia e narrazione, cinismo e delicatezza.
Ironia della sorte, Roth, che è rimasto eternamente in attesa di un Nobel più che meritato ma mai arrivato, se ne è andato proprio nell’anno in cui le premiazioni dell’Accademia di Svezia sono state sospese per problemi e contrasti interni.
Dopo che nel 2004 ha dichiarato di non poter «concepire una vita senza scrivere», nel 2012 ha deciso di ritirarsi dalla scena e di “posare la penna”:  «ho dedicato tutta la mia vita alla letteratura», ha spiegato al giornale francese Les Inrocks, aggiungendo: «Ho studiato e ho insegnato. Ho scritto e ho letto, tralasciando quasi tutto il resto. Ma dentro di me non sento più il fanatismo della scrittura che ho provato tutta la mia vita».
Roth ci lascia in eredità trentuno romanzi: dal graffiante “Lamento di Portnoy”, uno squarciato sulle manie e le nevrosi di un uomo alla disperata ricerca della normalità, a Pastorale Americana, la vicenda di una famiglia apparentemente perfetta che si sgretola all’impatto con gli eventi e movimenti storici statunitensi, fino a “La macchia umana”, una lancinante descrizione degli aspetti violentemente moralisti, ipocriti e puritani dell’animo americano e umano.
«La vita è solo un intervallo di tempo in cui siamo vivi», ha detto Roth in una delle sue più incisive tautologie.
L’intervallo di tempo del grande scrittore, la sua avventura sulla Terra, ci ha insegnato molto.