di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Una delle questioni politiche più significative, in questi giorni convulsi ed incerti di trattative ad oltranza per la formazione del nuovo governo, resta quella relativa alla gestione del fenomeno migratorio. Il tema dell’immigrazione è centrale, a causa delle implicazioni che l’ondata epocale di stranieri in giunti in Italia in questi anni ha comportato per il nostro Paese. Un numero cresciuto esponenzialmente. Nel 1997 gli stranieri residenti in Italia erano 884mila, corrispondenti all’1,5% della popolazione. 2 milioni e mezzo nel 2007. Ed ora, in base agli ultimi dati Istat, quelli relativi al 1 gennaio 2017, oltre 5 milioni, pari all’8,3% della popolazione. Solo considerando i cittadini stranieri regolari, senza contare, quindi, naturalizzati ed irregolari. Una crescita del 570% in vent’anni. Avvenuta, fra l’altro, non in un periodo di benessere e di sviluppo, ma proprio in concomitanza con le trasformazioni politiche ed economiche internazionali che hanno dato origine alla globalizzazione ed alla crisi profonda del nostro sistema. Il nostri concittadini si sono dovuti confrontare con tutte le conseguenze di un fenomeno tanto significativo. Conseguenze economiche, relative alla gestione organizzativa delle migrazioni, che hanno pesato su un bilancio già esiguo, per di più in tempi di crisi. Sociali, comportando nuove dinamiche di spesso difficile convivenza con culture diverse dalla nostra. Conseguenze sulla sicurezza, sia relative alla piccola criminalità – un detenuto su tre è straniero – sia alla minaccia terroristica di matrice islamista. Ora, dopo le lodi da parte europea per l’impegno profuso, sostanzialmente in solitaria, onde evitare le stragi nel Mediterraneo, che “ha salvato l’onore dell’Europa”, di fronte alla crescente richiesta di cambiare approccio, garantendo maggiore legalità, sicurezza e maggiore celerità nei respingimenti, a fronte di un numero ormai insostenibile di arrivi, ecco però che l’Ue torna a farsi sentire. Tramite il monito del commissario agli Affari Interni Avramopoulos, che ha suggerito all’Italia di non cambiare linea in tema di immigrazione, qualunque sia il prossimo governo. Solo l’ipotesi che le trattative sul contratto di governo in corso fra Lega e M5S portino ad un esecutivo volto ad un maggiore rigore sulla questione migranti ed ecco che arriva – dopo la carota dell’aumento delle risorse stanziate – il bastone europeo che invita perentoriamente, con l’ennesima invasione di campo, a non cambiare politiche ed a continuare a sobbarcarci l’intero peso delle crisi africane e mediorientali. Persino la Cei ha finalmente capito che ci sono limiti all’accoglienza e che il sacrosanto dovere di solidarietà non può superare i termini oggettivi dettati dalle possibilità materiali, economiche, organizzative. Sarebbe ora che lo comprendesse anche l’Europa.