di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Se i dati Istat sulla povertà non riescono, come dovrebbero, a scuotere le coscienze, forse a volte conoscere nomi, volti e storie dei nostri concittadini alle prese con gli effetti della crisi può essere utile per rendere più comprensibile il dramma sociale che l’Italia si trova a vivere ormai da troppi anni. Fra i molti possibili esempi un caso è salito recentemente agli onori delle cronache, grazie soprattutto all’interessamento del Corriere della Sera, che ha reso nota la vicenda. Quella di Alessandro, un trentanovenne di Torino, costretto, dopo aver perso lavoro e casa, a vivere in macchina insieme a sua moglie ed ai tre figli piccolissimi, l’ultimo di appena sei mesi. Un uomo come tanti che viveva, come purtroppo sempre più spesso accade specie ai più giovani, di “lavoretti”. Magazziniere, addetto al volantinaggio, corriere. Lavori precari, contratti a tempo che si esaurivano a breve, spesso non rinnovati. Reddito basso, sufficiente appena a fare la spesa e pagare affitto e bollette. L’ultima ditta, fallita, l’ha lasciato con mesi di stipendi arretrati non pagati. Così la traballante economia domestica è definitivamente saltata, con l’impossibilità di continuare a pagare l’affitto ed il conseguente sfratto. Ed ecco che la famiglia si è trovata nella disperata condizione di dover vivere in macchina, con l’unico conforto della solidarietà di chi, conoscendo la situazione, ha donato qualche soldo e un po’ di viveri. Ora, con la notorietà, è scattata la corsa ad offrire un lavoro, una casa, e forse per questa famiglia le cose finalmente potranno cambiare. Ma, al di là del caso singolo, che ci auguriamo si risolva nel migliore dei modi, questa vicenda resta emblematica, specchio della condizione italiana. Non solo economica ed occupazionale, ma anche del nostro sistema di welfare. Un welfare che – evidentemente – non è in grado di provvedere adeguatamente a salvaguardare la cittadinanza in caso di bisogno. Non in grado di garantire a una famiglia che cade in disgrazia almeno degli standard minimi di vita dignitosa. Non aggiornato agli standard lavorativi attuali fatti, per un numero crescente di persone, di precarietà. Nessun ammortizzatore sociale per dare a questa famiglia un minimo sostegno economico e prospettive di reinserimento al lavoro. Problemi burocratici per assegnare, tempestivamente, un alloggio. Tempi incerti e troppo dilatati per ottenere le spettanze non ricevute dall’ultimo datore di lavoro. Unica speranza, la solidarietà di altri privati. Unica salvezza, la notorietà garantita da mass media e social. Troppo poco per un Paese civile, che dovrebbe garantire ben altro ai propri cittadini che si trovano in stato di bisogno. La storia di Alessandro e della sua famiglia è l’emblema di una crisi non solo economica ma anche politica che speriamo di riuscire al più presto a lasciarci alle spalle.